Page 190 - La passione di Artemisia
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che me lo diciate...»

              «Andate su. Andate». Fece un gesto impaziente in direzione della scala,
          stufo di tormentarci. Aveva ormai ottenuto quello che voleva.
               Salendo,  posai  una  mano  sulle  spalle  di  Palmira.  «Mi  dispiace  che  tu

          abbia dovuto ascoltare tanta maleducazione».
              «Roma è orribile. La odio».
              «Non tutto è orribile. Pensa a quello che stiamo per vedere».
               Una  donna  grassa,  dalle  braccia  flaccide,  stava  lavando  il  pavimento,
          disegnando col panno bagnato archi lucenti.

               Le  domandai  la  direzione  per  il  Casino  delle  Muse.  Mi  accompagnò
          nell'anticamera e mi aprì la porta.
               Entrando,  presi  per  mano  Palmira.  Un'enorme  volta  copriva  un

          grandioso salone da feste. Al di sopra degli stucchi delle cornici, nei punti
          in cui i costoloni della volta si incurvavano a formare il soffitto ad archi, era
          dipinta un'elaborata cornice che imitava il marmo, con molti capitelli che
          sorreggevano  una  balconata,  essa  pure  illusoria.  Dietro  la  balaustra  della
          balconata erano state dipinte delle colonne e una loggia ad archi.

              «E' così reale». Palmira sottolineò l'ultima parola.
               Sotto  le  arcate,  affacciati  alla  balaustra,  vi  erano  uomini  e  donne  di
          gentile  aspetto  che  suonavano  liuti,  viole,  viole  da  basso,  flauti  e

          tamburelli.  Altri  cantavano  o  erano  in  ascolto,  talvolta  appoggiati  alla
          balaustra, o lasciando che l'orlo di uno scialle pendesse al di fuori. I colori
          delicati  delle  loro  vesti,  rosa,  verdi,  gialle,  risaltavano  contro  un  cielo
          turchino,  punteggiato  di  nuvole,  come  se  tutta  quella  balconata  fittizia
          stesse  ascendendo  al  cielo.  Ogni  particolare  architettonico  -  le  colonne,  i

          capitelli, le arcate, le rosette dei lacunari, le mensole su cui si appoggiava la
          balconata  -  e  poi  gli  altri  particolari  -  i  menti,  i  gomiti,  i  nasi,  i  busti,  gli
          strumenti musicali, tutti scorciati come appaiono visti dal basso - ogni cosa

          era proporzionata ad arte per dare vita a un tutto unitario. E l'effetto era
          tale da suscitare meraviglia.
              «Come può apparire tanto reale?» chiese Palmira.
              «Si chiama pittura architettonica illusionistica», le spiegai.
              «Non  si  riesce  a  capire  se  ciò  che  si  vede  sia  davvero  una  parte  della

          costruzione  o  un'illusione  ottica  ottenuta  con  la  pittura.  Sembra  reale
          perché  le  forme  e  le  figure  sono  tutte  a  scorcio.  Sono  dipinte  secondo
          proporzioni minori di quelle che hanno davvero e come viste dal basso. E'

          una tecnica molto, molto difficile».
              «Tu l'hai mai usata?»
              «No».
               Mi  lasciò  la  mano  per  girare  lungo  il  salone  e  si  mise  a  contare.
          «Diciannove persone!»



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