Page 193 - La passione di Artemisia
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che non ricordavo da anni. La luna è una perla barocca, un gingillo che Dio

          ha  gettato  nella  nostra  direzione,  per  stuzzicare  i  mortali  con  domande
          senza  risposta.  Ne  vedo  le  valli  e  le  montagne,  come  Voi  avete  descritto.
          Ormai  non  posso  più  guardarla  senza  pensare  a  Voi,  non  guardo  più  le

          stelle senza chiedermi quale sia la Vostra Venere.
               Questa  notte  temo  per  il  mondo.  Vorticando,  come  dite,  sul  limitare
          dell'universo invece di rimanere fisso e stabile sotto l'occhio protettivo di
          Dio, non siamo certo al centro delle cure divine.
               Le cose accadono.  Compiamo degli errori senza nemmeno rendercene

          conto  e  non  possiamo  tornare  indietro.  Quanto  è  difficile  contare  su  noi
          stessi per le nostre piccole vite, alfine di lasciare il Nostro Padre a occuparsi
          di più grandi faccende.

              Siate prudente, Amico mio. Anche se dite che papa Urbano nutre per Voi
          un grande affetto, Roma non ha pietà, come ho dovuto scoprire io stessa in
          gioventù. Non crediate, nella vostra villa di campagna, con i vostri alberi di
          cedro,  che  le  mani  di  Roma  non  possano  estendersi  fino  alle  colline
          toscane,  per  afferrare  il  loro  più  illustre  frutto.  Un  Papa  non  basta  a

          fermare la mano di Roma.
               Tuttavia,  pur  mentre  dico  queste  cose,  so  che  Voi  direte  la  verità  così
          come Vi appare, anche se può mettervi in pericolo.

               Con il Vostro permesso dunque, non foss'altro che per alleggerire la mia
          preoccupazione  per  il  Vostro  benessere,  chiederò  alla  mia  fedele  amica,
          suor Graziella di Trinità dei Monti, di pregare per Voi.
               La  Vostra,  sempre  Artemisia  Scaldai  dell'acqua  e  io  e  Palmira  ci
          lavammo i capelli nel lavello di pietra.

              «Ahi! Stai grattando troppo forte», gridò.
              «Non ti piace che ti massaggino la testa? Ti fa sentire più viva».
              «Ma mi fai male. Fai fare a me».

               Riluttante, mi feci indietro, abbandonando i piaceri della maternità, ma
          non riuscivo a togliere gli occhi da quella nuca tenera e sottile, coperta di
          sapone.
              «Andiamo a trovare le suore oggi, vuoi?» le chiesi.
              «Voglio  dare  dei  colori  a  suor  Graziella.  Prendi  il  tuo  ricamo  da

          mostrare  a  suor  Paola.  Se  non  è  troppo  affaccendata,  può  insegnarti
          qualche nuovo punto».
              «Sa ricamare?»

              «Naturale. Ha ricamato delle meravigliose pianete per i cardinali. Anche
          col filo d'oro».
               Le  feci  le  trecce  con  i  capelli  ancora  umidi,  in  modo  che  rimanessero
          ondulati, poi gliele fermai sopra la testa. «Ecco.
              Adesso sembri proprio una signorina».



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