Page 188 - La passione di Artemisia
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dimostrava dell'interesse. Forse erano stati i soggetti cruenti che avevo
dipinto - la testa, i fendenti, la serpe, il pugnale - che non l'avevano fatta
avvicinare alla pittura.
«No. Proprio per te, cara. Non ce ne sarà».
Forse non era solo per lei. Mi appariva ormai obsoleto mettere in scena
quell'atto di violenza. Adesso non aveva più alcun interesse per me.
Disegnando, lasciai libero spazio all'immaginazione.
Questa Giuditta sarebbe stata una donna più pesante e più matura, resa
più saggia dall'esperienza - non una semplice seduttrice, ma una donna
capace di ragionare. Qui a Roma, dove la tecnica di Caravaggio veniva molto
apprezzata, avrei potuto indulgere alla mia passione per i chiaroscuri
drammatici e per i contrasti di luce e ombra, anche sul suo volto. Giuditta
avrebbe potuto tenere la mano sollevata, per fermare la luce proveniente
dall'apertura della tenda, per potersi concentrare sui rumori sospetti. Nella
composizione, il corpo di Oloferne non sarebbe comparso neppure. Si
sarebbe intravista solo la testa, immersa nell'ombra, appena visibile nel
sacco di Abra. Niente sangue.
Niente macchie. Però Giuditta avrebbe sentito, appena fuori dalla tenda,
dei rumori. Il pericolo sarebbe stato sempre in agguato. Non avrebbe mai
potuto abbassare la guardia.
«Ecco», dissi, dopo aver lavorato un po'. Porsi a Palmira l'abbozzo di
una possibile composizione. «Sangue non ce n'è».
Guardò lo schizzo e poi me. «Non ne esce dal sacco?»
«Nemmeno un po'».
«Bene».
«Sì, bene». Le accarezzai la mano. «Lo sai che facciamo?
Siccome mi hai tanto aiutato con i bagagli, domani andremo in un
bellissimo palazzo che appartiene a un cardinale, Scipione Borghese. Un
uomo molto potente. Lì ci sono le opere del nonno. Andremo a vederle».
Non ero sicura dove si trovasse il Palazzo Pallavicini del cardinal
Borghese. Doveva essere dalle parti del Quirinale, così dovemmo chiedere a
tre persone, prima che un cocchiere ci dicesse che si trovava ben lontano
dalla strada, accanto alle scuderie. Grazie alla lettera del segretario del
cardinale, il guardaportone ci fece entrare in un rigoglioso giardino con
siepi, pergolati in fiore, oleandri frondosi, pini e platani.
All'ingresso del palazzo, un valletto ci bloccò con il bastone. «Che cosa
venite a fare qui?» chiese.
Che cosa credeva? Che una donna e una bambina avrebbero potuto
depredare la residenza del cardinale?
«Sono Artemisia Gentileschi. Mio padre, Orazio Gentileschi, ha
affrescato il soffitto del Casino delle Muse di Sua Eminenza. E' questo
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