Page 183 - La passione di Artemisia
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Anche Porzia esitò, probabilmente per lo stesso motivo. Con lo sguardo ci

          dicemmo che avremmo dovuto attendere un altro momento.
               Il mattino seguente, Palmira e io percorremmo tutte le strade tra piazza
          del Popolo e via della Croce. Chiedemmo consiglio allo speziale, suonammo

          ai  campanelli  e  seguimmo  le  indicazioni  della  gente.  Un'affittuaria  in  via
          dei Greci mi scrutò per bene e disse: «Non affitto a donne sole con figli».
              «Nemmeno se è una sola bambina?»
              «Una è già troppo».
              Palmira si trascinava dietro di me, dando calci ai sassi.

              «Non fare così. Ti rovinerai le scarpe». Era un'impresa fare in modo che
          avesse  delle  scarpe  decenti.  Un  ultimo  calcio  a  un  sasso  e  poi  si  mise  a
          camminare al mio fianco.

              «Il  mondo  ti  schiaccia  se  glielo  permetti.  Dunque,  non  devi
          permetterglielo».
               Donne sole. Pensai a Pietro. Se si guadagnava ancora da vivere con la
          pittura, non doveva essere meno difficile per lui che per me. Ma per noi due
          insieme?

               In via Laurina chiesi a una donna: «Avete due stanze in affitto? Sono
          una pittrice e questa è mia figlia». Mi ersi in tutta la mia dignità, tenendo
          Palmira per mano.

              «Sì,  due  stanze.  Al  terzo  piano.  Ci  sono  anche  degli  altri  pittori  che
          vivono qui. Andate a vedere. La prima porta a sinistra in cima alle scale».
               Man mano che salivo le scale, l'odore dell'acquaragia si faceva sempre
          più  forte  e  il  caldo  più  opprimente.  Nella  stanza  non  c'erano  tende.  Un
          materasso consunto era coperto da vecchie lenzuola.

              «E' orribile, mamma».
              «Stai zitta!» La tirai per un braccio.
              Il pomeriggio stava finendo e mi facevano male i piedi.

              Scendemmo di nuovo.
              «La prendo. Posso traslocare subito?»
              «Sì. Il vostro nome?»
              «Artemisia Gentileschi», dissi. «E mia figlia Palmira».
               A  questo  nome  le  tremò  l'angolo  della  bocca,  incerta  se  abbozzare  o

          meno  una  smorfia.  «Aspettate  qui»,  ordinò  e  si  recò  in  un'altra  stanza.
          Quando fu di ritorno annunciò: «No. Non è disponibile. Mio marito l'ha già
          affittata questa mattina». Ci tenne la porta aperta per farci uscire.

               Mi  ero  resa  conto  che  tornare  a  Roma  avrebbe  significato  dovermi
          confrontare con vecchi dolori, ma avevo sperato di non dovermi trovare di
          fronte all'umiliazione.
               In una casa di via Margutta, non lontano da quella dove avevo vissuto,
          si affittava una stanza che potevo permettermi.



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