Page 180 - La passione di Artemisia
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Nell'enorme tela di Tintoretto che rappresenta il Paradiso, la Vergine e

          Cristo sono circondati da ben cinquecento santi! Un mare di santi. Troppi
          davvero. Lì non c'era posto per me. La scuola veneziana comunque ha già
          detto tutto, tranne che nel mestiere».

              «Che peccato».
              «Non  ne  faccio  una  colpa  a  quella  città.  Per  qualunque  città  sarebbe
          difficile ottenere il mio affetto dopo Genova e Firenze».
              «Per chi hai lavorato?»
              «Per  Giovanni  de'  Medici,  il  figlio  di  Cosimo.  Immagina,  un  duca  di

          dieci anni. Le decisioni venivano prese dai suoi consiglieri e loro non erano
          particolarmente bendisposti verso di me. Poi è morto anche Giovanni. E la
          fine dei Medici».

              «Ora rimarrai qui?» domandò Graziella.
              «Lo  spero.  A  Venezia  ho  sentito  che  il  cardinale  Scipione  Borghese  e
          parecchi altri cardinali vogliono ingaggiare degli artisti per decorare i loro
          palazzi».
              «Anche papa Urbano ha parecchi progetti», disse Graziella.

              «Dove andrai a vivere?» mi domandò Paola.
              «Nella  zona  in  cui  vivevo  prima.  Ho  bisogno  di  trovare  un  posto  per
          domani. Stiamo in una locanda, ma non voglio pagare inutilmente e troppo

          a lungo. Le nostre cose sono ancora nella rimessa delle carrozze». Sapevo
          che avrebbero sperato in una visita più lunga, ma dovevo scappare.
              «Torneremo  dopo  che  ci  saremo  sistemate.  Volevo  solo  che  Palmira
          potesse conoscervi subito».
              Ci accompagnarono entrambe alla porta, ci abbracciarono di nuovo e noi

          ci incamminammo per andare a trovare Porzia Stiattesi.
               Nulla era cambiato in via del Babuino. Ecco ancora la stessa bottega di
          speziale dove compravamo i pigmenti e lo stesso vinaio all'angolo con via

          della  Croce,  la  strada  in  cui  avevo  abitato.  Raddrizzai  la  schiena.  Volevo
          percorrere quella via a occhi asciutti e con dignità, pura e sicura di me come
          una  bambina,  felice  di  calpestare  di  nuovo  ogni  pietra  del  selciato  su  cui
          avevo saltato da piccola. Presi la mano di Palmira. «Noi abitavamo qui», le
          dissi.  C'erano  dei  bambini  che  giocavano  per  strada  e  cantavano  una

          canzone in francese. Era una melodia a me nota e la cantai in italiano. Mi
          guardarono meravigliati e poi ridacchiarono.
              «Sono  nata  proprio  in  questa  casa»,  dissi  in  un  soffio  a  Palmira,  una

          volta giunte di fronte al nostro portone ad arco. L'intonaco si era scrostato
          in alcuni punti e il muro appariva sbrecciato.
              «Non è molto bella». Toccò una scaglia di intonaco, che si sfaldò.
               La tirai via. «Bisogna pur nascere da qualche parte». Il battente sinistro
          mancava  e  quello  destro  penzolava  tristemente  attaccato  a  un  unico



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