Page 175 - La passione di Artemisia
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disegnare».

               Stavo  bene  con  lui  accanto.  Sentivo  di  nuovo  la  fiducia  del  tempo
          dell'innocenza.
              «Ho  cercato  di  insegnarle  a  disegnare  la  bambola,  ma  non  riesce  a

          rimanere abbastanza ferma».
              «Tu  invece  rimanevi  seduta  per  giornate  intere,  cercando  di  fare  un
          ritratto più somigliante possibile al garzone del fornaio. Lo cancellavi e poi
          ricominciavi».
              «Quando avevo la sua età?»

              «Cominciasti allora. Era questo che lasciava esterrefatto Agostino, sai?
          Non tanto la tua bravura, ma la tua determinazione».
               A quel nome mi irrigidii. Erano passati anni da quando lo avevo sentito

          pronunciare, persino nella mia stessa testa.
              «Quando non riuscivo a dipingere qualcosa, tu mi dicevi: "C'è sempre
          domani.  Ricomincia  domattina".  Certe  volte  me  lo  ripeto  ancora».  Gli
          sfiorai il dorso della mano.
              «Ma le parole le sento con la tua voce».

               Passò  veloce  una  nuvola  e  tornò  il  sole.  Palmira  giocava  con  l'acqua
          della fontana.
              «Siamo ritornati amici», disse in un soffio.

              «Sì, papà».
              Mi guardò allarmato. «Intendevo dire... io e Agostino».
              Fu come se una lama mi affondasse nella carne fino all'osso.
              «L'ho invitato a venire per l'estate.  Arriverà la settimana prossima.  Al
          momento non ha commissioni e...»

              «Qui? A Genova?» La mia voce si fece stridula.
               Tese le mani verso di me, quasi a voler bloccare la mia reazione. «Sì». Si
          mise a parlare velocemente. «Ha un grande senso della prospettiva e nel

          Casino  delle  Muse  del  cardinal  Borghese  abbiamo  fatto  delle  belle  cose
          insieme.
               Dovresti  andare  a  vedere  un  giorno.  E  anche  nella  Sala  Regia  del
          Quirinale».
              «Come hai potuto? Lo hai invitato? Mi ha quasi rovinato!»

              Mio padre non riusciva a guardarmi in faccia. Fece un gesto con la mano
          come  a  volermi  calmare.  «Un  piccolo  affare  spiacevole  tra  vecchi  amici,
          Artemisia».  Mi  salì  il  sangue  alla  testa  e  vacillai.  Mio  padre  si  schiarì  la

          gola. «Ho pensato che io e lui potremmo lavorare insieme qui a Genova per
          un  po'  e  poi  potremmo  andare  in  Francia.  Ha  ottenuto  delle  lettere  di
          presentazione per Parigi».
              «Ancora non capisci, vero?»
              «Io... io pensavo che tu e lui avreste potuto metterci una pietra sopra».



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