Page 173 - La passione di Artemisia
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loro corpi. Un servitore portò un vassoio di crostini con acciughe sott'olio.

          L'odore quasi mi nauseò. Avevo bisogno d'aria. Un altro servitore passò con
          un  vassoio  pieno  di  coppe  di  vino.  Ne  presi  una  e  uscii,  poi  percorsi
          parecchie  volte  il  cortile,  prima  di  calmarmi.  Guardai  Palmira  giocare

          insieme a un'altra bambina con delle bambole di carta che avevo ritagliato
          per tenerle occupate.
               Quando venne il momento di scoprire il dipinto, il segretario di Cesare
          richiamò dentro gli ospiti. Mio padre uscì in cortile per dirmi di rientrare.
          «Ora vedremo di che pasta sono fatti questi genovesi», bisbigliò.

               Cesare  era  in  piedi  accanto  a  Bianca  e  sollevò  le  mani  per  chiedere
          silenzio.  Quando  ebbe  l'attenzione  generale,  fece  uno  dei  suoi  gesti
          pomposi in direzione del segretario, che sollevò il panno con un inchino.

          All'inizio tutti tacquero.
               Mi si gelò l'anima. Sentivo l'acqua gorgogliare nella fontana in cortile.
          Qualcuno tossì.
              «Ahh»,  mormorò  Bianca.  Doveva  aver  notato  che  avevo  cambiato  la
          posizione della lama dall'ultima volta che l'aveva vista.

              Il viso di Cesare s'illuminò lentamente di un ampio sorriso.
               Trassi  un  respiro,  che  non  sapevo  nemmeno  di  aver  trattenuto.  Gli
          ospiti applaudirono educatamente. Poi cominciarono i mormorii.

              «Pensavo che sarebbe stata nuda».
              «Non c'è sangue».
              «Il pugnale si vede a malapena».
              «Non è morta».
              «Non si sta suicidando».

               Bianca mi venne vicino e, nascosta dalla ricchezza delle nostre gonne,
          mi strinse la mano.
               Cesare  sollevò  il  braccio  e,  puntando  la  mano  aperta  verso  il  dipinto,

          disse:  «Brava!  Ci  siete  riuscita,  Artemisia  Gentileschi!  E'  il  trionfo
          dell'incertezza. Se il tempo si fosse fermato in quell'istante, non sapremmo
          mai che cosa avrebbe fatto. Questa Lucrezia è vostra e solo vostra».
               Sapeva  di  avere  qualcosa  che  non  aveva  fatto  nessun  altro  pittore.  Se
          avesse  contestato  quell'interpretazione,  avrebbe  offuscato  le  opere  che

          avevo già dipinto per lui.
              Approvandola, accresceva anche il valore del resto.
               Renata se ne stava da sola in un angolo della sala, con le mani strette al

          petto e gli occhi umidi.
               Gli ospiti erano ammutoliti. Il mio dipinto li aveva disorientati. Bene. Se
          questa  Lucrezia  dava  loro  un  nuovo  punto  di  vista,  avrebbero  potuto
          riconsiderare la mancanza del morso dell'aspide sul seno della Cleopatra.
              «Li hai sconcertati, Artemisia», mi disse mio padre.



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