Page 174 - La passione di Artemisia
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«Lo so».

               Dopo  il  rito  delle  congratulazioni,  alcune  delle  quali  entusiastiche  e
          altre fredde, mio padre mi condusse in giardino.
               Il  successo  mi  aveva  reso  leggera  e,  mentre  ci  dirigevamo  verso  un

          pergolato di rose, lo presi sottobraccio.
              «Forse alla gente ci vorrà del tempo per comprendere il motivo per cui
          si  è  congratulata  con  me»,  dissi.  «E  non  è  detto  che  domani  penseranno
          quel che pensano oggi».
              «Sono  delusi.  Volevano  vedere  il  sangue.  Si  aspettavano  il  sangue.

          Conoscono la storia di  Lucrezia.  Tu invece hai instillato loro il dubbio.  Il
          dubbio di Lucrezia».
              «Per tutti è così, papà? E' questo ciò che ti aspettavi?»

               I nostri occhi si incontrarono, come non era potuto avvenire a  Roma.
          Dopo  un  lungo  momento,  si  sedette  su  una  panchina  di  pietra  senza
          rispondere.
              Gli lasciai credere di riferirmi alle sue aspettative sulla Lucrezia.
               Mi  sedetti  accanto  a  lui  nell'ombra  macchiata  di  luce  a  guardare  i

          bambini giocare. La fontana davanti a noi era orlata di iris color cobalto e
          gigli  tigrati.  Era  un  luogo  piacevole,  con  lo  scrosciare  dell'acqua  e  il
          profumo di rose. Mio padre fece un cenno a Palmira, che si avvicinò e si

          sedette sulle sue ginocchia. Lui la fece sobbalzare come se fosse ancora una
          bimba.  «Sono  troppo  grande,  nonno.  Adesso  ho  nove  anni»,  disse  lei
          sobbalzando e ci venne da ridere.
               Papà  doveva  aver  fatto  la  stessa  cosa  con  me.  Fui  invasa  da  una
          tenerezza  per  lui  che  mi  sorprese  e  pensai:  questa  dev'essere  la  felicità.

          Avrei  voluto  fermare  il  tempo,  far  durare  quel  momento  per  sempre.
          Afferrai la delicata caviglia di Palmira.
              Mio padre si girò verso di me. «Che cosa c'è che non va?»

              «Nulla, papà. E' solo che sono talmente felice».
              Mi parve che non sapesse che dire. Continuò a far saltellare Palmira.
              «Palmira, diventerai anche tu una pittrice di talento come tua madre?»
          le domandò.
               Lei scosse la testa con forza e dondolò i piedi, guardandosi le scarpette

          nuove di velluto rosso. «Diventerò una signora e avrò moltissimi vestiti e
          abiterò in un palazzo».
              «Come questo?»

               Palmira sollevò il mento e poi lo abbassò di scatto. «Più grande. E avrò
          una carrozza nera con due cavalli bianchi».
               Appoggiò le mani su quelle del nonno, come a volerle misurare, ma poi
          si distrasse e corse via a giocare.
              «Quando  avevi  la  sua  età,  volevi  anche  tu  dei  cavalli,  ma  per  poterli



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