Page 176 - La passione di Artemisia
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«Padre!» Mi alzai in piedi. «Come hai potuto solo pensare una cosa del

          genere? La felicità e la pace che ho qui non significano nulla per te. Il mio
          mecenate è come un padre per me, più di quanto non lo sia tu».
              Mi afferrò un braccio. Mi divincolai.

              «Artemisia, non...»
              «Bastardo!»
               Chiamai  Palmira  e  la  trascinai  di  sopra,  ignorando  le  proteste  di
          entrambi.
              Presi la carta da lettere. Dovevo andarmene e in fretta.

               Se  avessi  ricevuto  anche  solo  una  lettera  da  Pietro,  sarei  tornata  a
          Firenze. Ma non mi aveva mai scritto.
               E  così  scrissi:  Vostra  Onorevolissima.  Eccellenza,  Don  Giovanni  de'

          Medici,  Prego  l'Eccellenza.  Vostra  di  accettare  le  mie  più  sentite
          condoglianze e i sensi del mio più profondo dolore per la morte del Vostro
          Illustrissimo Signor Padre, il Granduca Cosimo de Medici. Sarò in eterno a
          Lui  grata  per  la  stima  dimostrata  nei  confronti  del  mio  lavoro  e  ora,
          secondo i desideri da Lui espressi, mi metto umilmente al Vostro servizio a

          Venezia.  Sono  pronta  a  dipingere  ogni  soggetto  da  Voi  desiderato  e  ad
          accettare  qualunque  compenso  vogliate  offrirmi.  Arriverò  tra  due
          settimane, nella speranza di trovare la Signoria Vostra in buona salute di

          spirito e di corpo.
               Vi  bacio  le  mani  La  Vostra  umile  e  riconoscente  serva  Artemisia
          Gentileschi Era assurdo scrivere a un bambino di dieci anni. La decisione
          sarebbe comunque spettata ai suoi consiglieri.
              Probabilmente lui la lettera non l'avrebbe nemmeno vista.

              Staccai le mie tele dalle cornici e le arrotolai.
              «Perché lo stai facendo?» volle sapere Palmira.
              «Perché le cornici non sono mie».

               Avvitai  i  coperchi  dei  vasetti  della  vernice  d'ambra,  dell'acquaragia  e
          dell'olio di semi di lino e aprii il baule.
              «Mamma! Che stai facendo?»
              «Aiutami. Metti i vestiti nel tuo baule».
              «No!» urlò. «Perché?»

              «Ce ne andiamo».
              «Perché?»
              «Tuo nonno». Avvolsi la lampada a olio di mia madre in alcuni stracci e

          la riposi nel baule.
              «No! Io non vengo». Andò in camera da letto pestando i piedi.
              Le sue grida fecero accorrere nello studio Bianca, Cesare e Renata.
              «Sono terribilmente spiacente, ma dobbiamo partire».
               La sorpresa si dipinse sul viso di Cesare. «Abbiamo fatto qualcosa che vi



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