Page 185 - La passione di Artemisia
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«Perché quell'uomo ci ha chiamate puttane».

              «Lo ha detto perché era la parola peggiore a cui potesse pensare ma, dal
          momento che non è vero, non ti devi preoccupare».
               In quella stanza semibuia, guardando le crepe sul soffitto, sarebbe stato

          più  facile  spiegare.  Presto  Palmira  avrebbe  avuto  le  sue  prime
          mestruazioni. Era giunto il momento.
              «Ti  ricordi  a  Firenze,  nella  Loggia  dei  Lanzi  in  piazza  della  Signoria,
          quando  ho  disegnato  la  statua  di  quell'uomo  che  rapiva  quella  donna?
          Ricordi  che  ne  ho  fatto  una  copia  in  quel  giorno  di  pioggia,  quando  poi

          siamo tornate a casa correndo?»
              «No», mi rispose con enfasi, come se la mia aspettativa fosse assurda.
              «Quando un uomo costringe con la forza una donna a fare quello che

          fanno  marito  e  moglie  quando  si  amano  e  la  donna  non  vuole,  quello  si
          chiama stupro. Lo scultore ha voluto rappresentare il momento in cui stava
          per accadere».
              «E allora?»
              «E allora è successo a me. Qui. Non volevo che si sapesse, ma mio padre

          lo  scoprì  e  denunciò  quell'uomo.  Allora  la  gente  credette  che  io  l'avessi
          voluto,  ma  io  non  l'avevo  voluto.  Quando  una  donna  vuole  farlo  con
          chiunque e non solo con suo marito, la chiamano puttana».

               Palmira  taceva.  Forse  cercava  di  capire  che  cosa  facessero  insieme
          uomini e donne, ma quello era un discorso da fare un'altra sera. Come per
          il processo e la sibilla. Quando fosse stata più grande. Quando per me non
          sarebbe stata altro che una storia da raccontare - come quella di Lucrezia, o
          di Cleopatra, o di qualcun altro del lontano passato.

              Con gli occhi che mi si chiudevano, pensai che ci stavo quasi arrivando.
              Poi, dal buio, arrivò una timida domanda. «E' stato papà a stuprarti?»
              «Il tuo papà? No, cara. Non mi ha mai fatto del male in quel modo. E'

          stato l'amico di mio padre. Si chiamava Agostino. Lavoravano insieme. Ecco
          perché siamo venute via da  Genova con tanta fretta.  Tuo nonno lo aveva
          invitato lì».
              «Fa male essere stuprate?»
              «Sì, per un po'. Non per sempre».

              «Quello che fanno marito e moglie fa male?»
              Era una domanda cruciale. Non volevo che vivesse nella paura.
              «No. Pensa a Cesare e Bianca. A quanto affetto si dimostravano.

               Se l'uomo è dolce e la donna lo vuole, non fa male.  E questo succede
          quando si amano».
              «Io lo vorrò?»
              «Sì».
              «Lo vogliono tutte le signore?»



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