Page 20 - La passione di Artemisia
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parlarle, non avevo nemmeno voluto che mi si avvicinasse. Ed era così che
volevano mettermi in mostra - come se fossi stata colta in flagrante.
«E' come ha detto», sentii dire alla donna magra che era accanto a me.
«Fate la vostra dichiarazione da mettere agli atti». La voce del
luogotenente era distratta, come se avessero appena svolto qualche
compito del tutto normale e di scarse conseguenze.
«Io, Diambra Blasio, ho toccato ed esaminato la vagina di donna
Artemisia e posso affermare che non è vergine. Lo so perché ho messo le
dita dentro la sua vagina e ho trovato l'imene rotto. Posso dirlo per la mia
esperienza di levatrice di dieci o undici anni».
Cercai di astrarmi da tutto quello che mi circondava.
«E voi?»
«Io, Caterina, della corte di Masiano, ho esaminato... toccato la sua
vagina... ho messo un dito... deflorata... imene rotto... un po' di tempo fa...
non di recente... la mia esperienza... quindici anni».
Attesi lì, su quel tavolo, finché l'udienza fu aggiornata e fissai il notaio
negli occhi, sfidandolo a sollevare anche solo un sopracciglio in segno di
disprezzo su quel naso a becco.
Papà e io aspettammo di essere arrivati a casa e di aver chiuso la porta,
prima di dire qualcosa. «Se ci fosse stata la mamma avresti provato
vergogna».
«Mi vergogno adesso».
«Di che? Per tua figlia, che se ne sta lì distesa a farsi vedere da tutti, o
per te stesso?»
Scosse la testa, come un cane che si scrolli l'acqua di dosso.
«Madre di Dio, che altro succederà?» dissi.
«Ma è una prova, non capisci? Quella per cui avevo chiesto i danni».
«Non sono un quadro», urlai. «Sono una persona! Tua figlia».
Inciampò in un vaso pieno di pennelli, raccolse i suoi strumenti da
pittore e se ne andò. Così. Se ne andò a dipingere nel Casino delle Muse del
cardinal Borghese a Palazzo Pallavicini, dove aveva lavorato con Agostino
prima del processo. Come se fosse un giorno qualunque. Come se nulla
fosse accaduto. Come se non dovesse esserci alcuna conseguenza.
Non volevo esserci quando sarebbe tornato. Indossai il mantello grigio
corto e, uscendo, tirai su il cappuccio, anche se il riverbero del calore saliva
dalla terra davanti a me.
In via del Babuino, diretta a piazza di Spagna, tenni la testa abbassata, in
modo che il nostro speziale non potesse riconoscermi dalla porta della
bottega. Salendo sul colle del Pincio, evitai i solchi dei carri e le pietre,
girando alla larga dagli inconcludenti che ciondolavano sempre su quella
strada scoscesa tra la città e la chiesa. Sarebbero stati i primi a urlarmi
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