Page 25 - La passione di Artemisia
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«Lo sarai. Nulla potrà impedirti di esprimere il tuo talento.

               Sei  ancora  giovane.  Non  dimenticare  mai  che  il  mondo  ha  bisogno  di
          conoscere quello che hai da mostrare».
              «Il  mondo.  Che  importa  al  mondo?  Il  mondo  è  pieno  di  crudeltà».

          Sfiorai l'orlo scabro di una delle conchiglie. «Se io rimanessi qui con te, il
          mondo non conterebbe nulla».
              «Artemisia». Il mio nome risuonò con tono autoritario.
              «Non  si  sceglie  una  vita  in  convento  per  sfuggire  da  qualche  cosa.  Si
          viene a vivere qui per servire Dio, perché si sente il richiamo di una voce

          che non si può negare.
              Qualunque altro motivo è illegittimo».
              «Potrei scoprire di avere la vocazione».

              «Tu l'hai già. Quella della tua arte».
              Suonò la campana del vespro: significava che dovevo andare.
               Mi accompagnò all'uscita passando per il chiostro e si fermò accanto al
          pozzo che era nel mezzo, poi disse dolcemente: «Tu non vuoi vivere dove le
          uniche cose che puoi vedere per il resto della vita sono quegli stessi nove

          archi  in  ogni  porticato,  quegli  stessi  pochi  affreschi,  quello  stesso  pero
          sparuto, quello stesso crocefisso».  Andò verso l'albero e fece ruotare una
          pera  giallo-verde,  finché  le  cadde  tra  le  mani.  «Ecco.  Mentre  la  mangi,

          ricorda  quello  che  ti  ho  detto.  Tu  hai  già  la  tua  vocazione.  Non  pregare
          come una penitente per i peccati altrui. Vedi te stessa per quella che Dio
          t'ha fatta».
              «Ti sei mai sentita abbandonata da Dio?»
               Spostò  leggermente  il  mento  all'indietro,  unico  segno  di  sorpresa.  Sul

          volto le passò un velo di turbamento, che non le avevo mai visto.
              «Da Dio e dagli uomini».
               Fuori dal convento, mi fermai in cima alle scale, per sentire il vento sul

          viso. C'era qualcosa di leggero e puro nello stare tanto in alto. Dopo qualche
          momento sentii le suore cantare il Magnificat, che amavo. «La mia anima
          magnifica  il  Signore».  Suor  Paola  mi  aveva  insegnato  il  significato  delle
          parole latine, quando avevo avuto il primo mestruo femminile.
               Prima  di  quel  momento,  quando  mia  madre  mi  aveva  detto  che  avrei

          sanguinato  periodicamente,  avevo  pensato  che  volesse  dire  che  Dio  mi
          avrebbe punito perché l'avevo respinta dopo averla vista a letto con papà. In
          seguito, in convento, quando arrivò il primo mestruo, fui sicura che Dio mi

          stava punendo per la mia natura incapace di perdono.
               Pregai la Madonna di perdonarmi, per averla trattata in quel modo. Ma
          il sangue non si fermò, gonfiandosi come il Mar Rosso. Allora ero corsa da
          suor Paola, convinta che stessi per morire e le avevo raccontato ogni cosa.
          Mi  disse  che  il  sangue  era  parte  della  più  pura  femminilità,  come  la



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