Page 29 - La passione di Artemisia
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«Lo sai che ti amo. Ricordi tutto quello che ti ho insegnato?
Mi devi qualcosa».
«Non illuderti. Non ho imparato nulla da te che non potessi imparare
con i miei stessi occhi».
«Come puoi dire una cosa del genere?»
«Perché tu non sai dipingere le persone. Non rimarrà nulla di te. Sarai
dimenticato il giorno stesso in cui morirai, che non sarà mai abbastanza
presto».
Questo lo fece ammutolire. Stava cercando qualcosa da dire. «E allora
per lo meno accusa qualcun altro. Di' che non sono stato io il primo, così
l'accusa cadrà».
«Potrei tagliarti il collo e la Santa Vergine applaudirebbe».
«Di' che è stato Quorli. Adesso è morto. A chi può arrecare dolore?»
«Che ne sai tu del dolore?» Alzai le mani, con le dita segnate alla base
da linee di sangue rappreso e ferite ancora infiammate tra dito e dito.
«Sono queste le fedi matrimoniali che mi hai dato. Te ne stavi seduto lì,
lasciando che mi facessero questo e ancora ti ostini a dire che mi ami?»
A quella vista ebbe un sobbalzo. «Credimi, non volevo farti del male».
«Come alla donna che hai sposato? Nemmeno a lei volevi fare del male?
Solo strangolarla con gentilezza? Con una corda e tante scuse?»
Agostino indietreggiò sbalordito. Corrugò la fronte e spalancò gli occhi.
Allora era vero.
«Sei un mostro e un assassino».
«Artemisia...»
«Bastardo!»
Mi girai rapidamente per andarmene e sentii il sangue affluire alla
punta delle dita, ridandomi energia.
Il mattino seguente iniziai la Giuditta e Oloferne. Riuscivo a malapena a
piegare le dita, per stringere il pestello ovoidale e macinare i colori sulla
lastra di marmo. La sofferenza non ha importanza. Devo ignorarla, mi dissi.
Solo la pittura ha importanza. Graziella aveva detto: dipingi fino a
eliminare la sofferenza.
Non riuscivo a infilare il dito nel foro della tavolozza, così misi uno
sgabello sopra una sedia, per tenere vicina la tavolozza all'altezza giusta.
Vedere i colori mi rese più facile il respiro. Corazzandomi contro il dolore
provocato dalla pelle che mi tirava quando stringevo in mano il pennello,
spalmai del lucente oltremare purissimo sulla tavolozza e vi aggiunsi un
tocco di nero fumo per scurirlo, per le maniche di Giuditta. Poi,
goffamente, ne presi una pennellata per abbozzarle, disegnando col colore.
Il cuore accelerò i battiti. Mi sentii di nuovo viva.
Ogni giorno, appena alzata, indossavo il grembiule da pittore sopra la
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