Page 28 - La passione di Artemisia
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3. Agostino







               Una  notte,  mentre  papà  era  fuori,  lasciai  la  casa  accompagnata  da
          Giovanni Stiattesi. Camminavamo al buio, prendendo solo stradine laterali
          ed evitando piazza Navona e qualunque porta illuminata dalle torce, da cui
          usciva della musica. Papà avrebbe potuto essere dietro ognuna di esse.
               Giovanni e Porzia mi avevano convinta a vedere Agostino nella prigione

          di  Corte  Savella.  Pensavo  che  forse  avrei  potuto  scoprire  se  sua  sorella
          aveva detto la verità.
              «Puoi dirglielo in faccia», aveva detto Giovanni strizzando gli occhi. «E'

          un  figlio  di  puttana».  Era  esattamente  quello  che  avevo  bisogno  di  fare,
          vedere se avessi avuto la forza di ucciderlo con le parole.
               Attraversammo  il  Tevere  a  ponte  Sisto,  nella  più  totale  oscurità,
          sentendo sotto di noi l'odore del fiume. Giovanni mi teneva per il polso, per
          non  farmi  male  alle  mani,  che  avevo  lasciato  scoperte  per  mostrarle  ad

          Agostino e faceva scorrere l'altra mano sul parapetto di pietra.
              «Perché stai facendo questo per me?» gli domandai. Una volta papà mi
          aveva detto che Giovanni era stato un amante piantato in asso da Agostino

          e che la sua rabbia sarebbe servita alla nostra causa. Ma lui intendeva nella
          nostra causa in tribunale, non in un affare clandestino come questo.
              «Io non provo affetto per quell'uomo. A te è stato fatto un torto. Sono
          motivi sufficienti».
               Mi condusse, attraverso strade che solo lui conosceva, fino alle spalle

          della prigione e fece scivolare una moneta tra le mani della guardia. Attesi
          in  un  corridoio  di  pietra,  sotto  una  torcia.  L'umido  passaggio  puzzava  di
          catrame bruciato.

               Per molto tempo non venne nessuno e io mi misi a camminare su e giù.
          Infine, dalla porta sul fondo si affacciò Agostino e venne verso di me, con
          quelle sue spalle larghe, le braccia spalancate e un sorriso esagerato, come
          un ospite affettuoso che saluti un vecchio amico.
              «Artemisia,  sei  venuta  finalmente!  Ti  ho  aspettato,  morendo  ogni

          giorno  un  po'».  La  sua  voce  risuonava  di  falsa  dolcezza  nel  corridoio.
          «Amore. Se ritratti ti sposerò. Te lo promisi allora e lo farò adesso».
              «Pensi  che  sia  venuta  per  questo?  Per  sposare  un  uomo  che  mi  ha

          disonorata?»
              Dilatò gli occhi scuri per la sorpresa, arrogante com'era.
              «Non ci sarà disonore se mi sposerai. Io ti salverò».
              «Vuol dire che io salverò te. Credi che io vorrei essere sposata con un
          libertino? Con un mascalzone? Con un reprobo?»



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