Page 17 - La passione di Artemisia
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fare  l'amore,  versandogli  vino  finché  non  lo  aveva  visto  addormentato.

          Allora gli aveva tagliato la testa e il giorno seguente l'aveva mostrata ai suoi
          soldati; e l'esercito era fuggito. Quella era la donna che volevo dipingere.
               La  Giuditta  di  papà  era  così  angelica  e  delicata  che  non  avrebbe  mai

          potuto portare a termine quell'impresa senza l'intervento divino.
               Una mattina, passò nella nostra stretta via della Croce una pescivendola
          con  due  ceste  di  pesce  secco.  Aveva  le  maniche  arrotolate  e  le  braccia
          muscolose  erano  robuste  e  nerborute  come  quelle,  solcate  di  vene,  del
          Mosè  di  San  Pietro  in  Vincoli.  Erano  quelle  le  braccia  che  doveva  avere

          Giuditta:  più  robuste  e  forti  di  quanto  le  avessi  disegnate  e  anche  con  le
          maniche  arrotolate,  pronta  al  bagno  di  sangue,  irrigidita  dalla
          determinazione e dalla ripugnanza, mentre affondava nella gola di Oloferne

          la sua stessa lama d'acciaio.
               E la serva di Giuditta, Abra, anche lei doveva avere braccia robuste, per
          poter schiacciare il petto del tiranno.
               Inoltre,  la  mia  Giuditta  avrebbe  tenuto  un  ginocchio  sul  letto  del
          tiranno, come una contadina che stia scannando un maiale.

              La pescivendola gridava: «Cefali, baccalà» e rideva a piena gola alla vista
          di alcuni bambini che giocavano in strada. Era libera, assolutamente libera
          e,  per  un  istante,  la  invidiai.  Non  nel  senso  che  avrei  voluto  essere  una

          pescivendola.
               Solo  che  non  avrei  voluto  passare  tutta  la  vita  confinata  in  casa  per
          evitare le umiliazioni.
               Mi  misi  addosso  uno  scialle  e  vi  nascosi  anche  le  mani,  presi  delle
          stradine  laterali  e  attraversai  la  grande  piazza,  diretta  a  Santa  Maria  del

          Popolo.  In  una  piccola  cappella  c'era  la  Conversione  di  san  Paolo  di
          Caravaggio.  Mi misi a studiarne i chiaroscuri, il modo in cui accostava la
          luce  intensa  all'oscurità  e  mi  venne  il  desiderio  di  provarlo  anch'io.  San

          Paolo  era  rovesciato  sulla  schiena  al  momento  della  conversione,  con  la
          testa e le spalle in primo piano e il corpo dipinto a scorcio. Avrei potuto fare
          così  Oloferne,  con  la  testa  che  usciva  praticamente  dalla  tela  verso  lo
          spettatore, rovesciata in basso, con un'angolatura impossibile se era ancora
          del  tutto  attaccata  al  collo,  ma  ancora  vivo,  mentre  esalava  l'ultimo

          terrificante respiro e cercava di sferrare un pugno al mento di Abra.
               Ricordai la mia delusione quando papà mi aveva fatto vedere la Giuditta
          di  Caravaggio.  Mentre  segava  il  collo  dell'uomo,  era  completamente

          passiva.  Caravaggio  aveva  concentrato  tutta  l'emozione  sull'uomo.
          Evidentemente, non riusciva a immaginare che una donna fosse in grado di
          pensare. Io invece volevo dipingere i suoi pensieri, se una cosa del genere
          era  possibile:  la  determinazione,  la  concentrazione  e  la  fede  nell'assoluta
          necessità di quel gesto. Il destino del suo popolo era tutto nelle sue mani.



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