Page 18 - La passione di Artemisia
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Non il piacere nel compierlo, solo la necessità di doverlo fare. E anche i
pensieri di Oloferne: la confusione, il terrore, il mondo divenuto
incontrollabile. Sì, era qualcosa che conoscevo.
Quella parte ero in grado di farla.
Ma Giuditta? Potevo farla?
Un giorno dovetti comparire in tribunale, ma Agostino non c'era. Di
fronte al posto in cui in genere mi sedevo, due donne avevano steso un
lenzuolo su una lunga tavola di legno e avevano portato un bacile d'acqua e
degli stracci.
A che servivano? A qualche nuova tortura? La più vecchia, che era
anche la più corpulenta, con uno spesso strato di grasso che le pendeva
sotto il mento, mi fissava con disprezzo, corrugando le palpebre inferiori
piene di rughe.
La donna più giovane, così magra da parere solo un mucchietto d'ossa,
evitava del tutto di guardarmi. Io tenevo le braccia strette al petto. Il notaio
sogghignò.
Il luogotenente si schiarì la gola per ottenere silenzio. «E dunque voi,
una ragazza di soli diciotto anni, affermate di non essere più vergine a
causa delle azioni compiute dal signor Tassi? E' giusto?» domandò
imperioso, con quel suo tono incalzante e allusivo.
Annuii. Ammettere di non essere vergine, comunque si fossero svolte le
circostanze, mi avrebbe marchiata per sempre come priva di autocontrollo
e dunque da non sposare.
«Ditelo perché sia messo agli atti».
«Sì. E' giusto».
«Che cosa è giusto? Dite le parole».
«Non sono più vergine».
Il luogotenente scartabellò dei documenti e alzò il braccio in direzione
delle due donne. «Queste sono levatrici molto esperte e», fece una pausa
per guardarmi, «dalla reputazione impeccabile. Diambra di piazza San
Pietro e domina Caterina della corte di Masiano. Signorina Gentileschi, voi
affermate in piena capacità di mente e di corpo di non essere più vergine?»
Strinsi le gambe. «Sì, Vostro Onore, per colpa di Agostino Tassi e della
forzata...»
«Signorina, faccia silenzio». Fece un gesto con le dita verso le levatrici.
«Si proceda all'esaminazione delle pudenda della signorina Gentileschi e
che il notaio osservi». Allungò le gambe, si stese all'indietro e incrociò le
braccia sul petto.
Io mi irrigidii.
In aula si udirono dei mormorii. «Credetele», sentii papà dire. «Non
mente mai».
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