Page 15 - La passione di Artemisia
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bianca che, quando sollevava il mento per bere, si poteva vedere l'acqua che
le scorreva in gola. Di Cleopatra, che navigava sul Nilo su un'imbarcazione
ricolma di frutti e di fiori. Di Danae e della sua pioggia d'oro, di Betsabea, di
Giuditta, delle sibille, delle muse, dei santi - tutti li rendeva vivi. Mi aveva
fatto desiderare di diventare una pittrice, mi aveva fatto tracciare i disegni
nella sua grande Iconologia rilegata di cuoio, mi aveva insegnato come
tenere in mano un pennello a cinque anni, come pestare i pigmenti e
mescolare i colori quando ne avevo dieci. Mi aveva dato un mio pestello
personale e una mia lastra di marmo. Mi aveva dato la vita.
E se non avessi più potuto dipingere con queste mani?
A che sarebbe valso vivere allora? Il pugnale era ancora sotto il letto. Se
il mondo fosse diventato troppo crudele non avrei avuto il dovere di vivere.
Ma c'era la mia Giuditta da dipingere, se mi riusciva.
Adesso lo volevo fare più che mai.
Papà batté lievemente alla porta. «Artemisia, fammi entrare».
«Non voglio parlare con te. Tu sapevi che cosa poteva farmi la sibilla».
«Non pensavo...»
«Sì, eh? Non pensavi».
Forzò la porta e spinse via la cassapanca. Portò un bacile colmo d'acqua
e dei panni per pulirmi le mani. Lo respinsi.
«Artemisia, lasciami...»
«Se mamma fosse ancora viva non avrebbe permesso che tu li lasciassi
fare».
«Non mi rendevo conto, io...»
«Non avrebbe voluto che diventasse una cosa pubblica, come non lo
volevo io».
«Col tempo, Artemisia, non importerà più».
«Quando tutto ciò che una donna possiede è il proprio nome, allora
importa».
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