Page 154 - La passione di Artemisia
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carrucole e facevano rotolare le botti lungo le banchine. Scorsi un pezzetto

          di una vecchia corda per terra e lo raccolsi. Sarebbe stato adatto a fungere
          da aspide per il mio dipinto. Su una cesta lì accanto era seduto un vecchio.
              «Posso prenderla?» gli domandai.

              «Non è mia. Prendetela».
               Le  pescivendole  vendevano  anguille  e  pesci  lucenti,  che  tenevano  in
          grosse vasche di vetro.
              «Calamari  vivi»,  gridava  una  donna  tenendone  in  mano  uno  come
          prova.

              «Ostriche, cozze, venite», gridava un'altra dal suo banchetto.
              «Ricci, ricci», era il richiamo di una terza.
              «Che cosa sono i ricci?» domandai a Renata.

              «Non lo sapete? Sono frutti di mare. Dovete provarne uno», mi rispose.
          «Qui sono freschi».
               Usando delle pinze, la donna trasse fuori da un secchio una cosa tonda e
          spinosa,  nero-violacea.  La  aprì  con  il  coltello  ed  estrasse  una  massa
          molliccia, rossastra, dall'aspetto non tanto appetibile, la posò nella valva di

          un'ostrica, vi spruzzò del succo di limone e me la porse.
              «Vi piacerà», mi incoraggiò Renata.
               Ingoiai  la  polpa.  «Saporita»,  dissi,  anche  se  ne  avevo  già  avuto

          abbastanza. Volevo solo far piacere a Renata.
               La taverna del fratello di Renata era incassata tra un magazzino e una
          locanda per marinai. La stanza fumosa era piena di marinai dalla pelle cotta
          dal sole e il viso segnato, che ingollavano birra e ci fissavano. Uno di loro,
          con  un  berretto  nero  in  testa,  una  giubba  rossa  e  un  orecchino  d'oro,  ci

          disse  sogghignando:  «In  cerca  di  lavoro,  eh?  Ce  n'è  parecchio  per  due
          bellocce come voi».
              «Sta  zitto,  marinaio!»  sbottò  Renata.  L'occhiata  severa  che  gli  rivolse

          ebbe  l'effetto  di  farlo  tornare  al  suo  gioco  di  dadi.  Mi  divertii  osservare
          come una serva fosse così brava a comandare.
               Mentre Renata parlava in privato con suo fratello, io andai a mettermi
          in fondo alla stanza. Il fratello mandò fuori il garzone. Dopo un po', ecco
          entrare un'intera processione di prostitute, vestite di rosso, di arancione e

          di  porpora,  passando  davanti  agli  uomini  in  adorazione.  Le  bluse  leggere
          lasciavano  intravedere  i  seni  liberi.  Alcune  erano  troppo  vecchie  e  provai
          pena per loro. Una, invece, non era molto più grande di Palmira e questo mi

          fece sentire ancora peggio.
               Facendo  ondeggiare  la  gonna  rossa,  si  fece  avanti  una  donna
          marocchina, dalla pelle scura e i fianchi larghi.
              «Prendi  me,  signora».  Si  lisciò  i  seni  con  le  mani  e  poi  i  fianchi,
          inchinandosi  in  avanti  per  mostrare  dell'altro:  era  così  che  adescava  gli



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