Page 149 - La passione di Artemisia
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volentieri informazioni quanto balle e casse. Volevo sistemarmi prima che
la notizia del mio arrivo raggiungesse mio padre.
Quanto era diversa ora la mia vita dall'ultima volta che avevo viaggiato
su una carrozza, quando papà aveva agitato le mani davanti allo sportello
dicendo: «Entra, entra». Ora, quel momento tra tutti, di quella giornata, mi
stava chiaro dinanzi agli occhi come se fosse dipinto e incorniciato.
All'improvviso mi resi conto di non essere più così sicura che lui mi
ritenesse innocente. Di solito non era impaziente.
Forse le insinuazioni di Tuzia avevano fatto il loro lavoro e l'avevano
reso sospettoso. Magari, dietro i suoi sforzi di farmi sposare un uomo di
un'altra città, c'era il desiderio di liberarsi di ciò che macchiava la sua
reputazione.
Il terzo giorno arrivammo a Genova. Palmira stava in piedi nella
carrozza, con la testa fuori dal finestrino a guardare le ville bianche, linde e
allegre, circondate da colline verdi terrazzate che s'affacciavano sul mare.
«Guarda!» non cessava di dire, ed era esattamente ciò che facevo anch'io.
Respiravo profondamente l'aria di mare, che mi rinfrescava dopo il
lungo viaggio. Nella baia semicircolare stavano all'ancora imbarcazioni
d'ogni sorta - galeoni, vascelli da carico e robuste navi da guerra dalle alte
alberature. Le viuzze tortuose si inerpicavano su per le colline formando un
intricato disegno tra il verde e gli edifici dai colori vivaci.
Palmira fremeva per l'eccitazione. «In quale palazzo andremo ad abitare
mamma? In quale?»
«A Palazzo Cattaneo-Adorno in piazza de Banchi», dissi al cocchiere.
Quando la carrozza si fermò, Palmira ricadde a sedere. Dall'esterno non
appariva tanto imponente quanto Palazzo Doria o Palazzo Bianco, che
avevamo passato strada facendo.
«Devi essere educata e grata, comunque sia», le dissi.
Un portiere ci fece entrare nell'ampio salone, arredato con mobili
intagliati e intarsiati, su cui erano disposti infiniti oggetti tra i più singolari.
Il mio sguardo cadde su due brocche di lapislazzuli a forma di uccelli, ma
Palmira mi indicò uno strano pesce di cristallo di rocca, con la bocca
spalancata, enormi occhi sporgenti color verde e le pinne e la coda in
argento. Alle pareti erano appesi solo dei dipinti di poco interesse.
Ci venne incontro a braccia tese un uomo dal ventre sporgente, avvolto
in una vestaglia di broccato color senape.
«Sono Cesare Gentile. Benvenute nella mia magione.
In questa casa onoriamo gli artisti». Il suo volto si aprì in un largo
sorriso bonario, che gli raddoppiò il mento.
Con la mano rossa e grassoccia batté sulla spalla di Palmira.
«Due artiste? Due? Splendido». Si inchinò in modo spropositato e
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