Page 146 - La passione di Artemisia
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«Non giocare con le parole, Artemisia». Scostò una sedia dal tavolo e si
sedette.
«Se mai c'è stato qualcosa di bello - allora vieni con me».
Il disprezzo per quest'idea lo fece sbuffare. Sapevo che cosa gli
ripugnava: sentirsi umiliato perché sua moglie aveva un ricco committente
e lui no.
«Puoi venire in seguito, se non vuoi venire ora». Gli poggiai una mano
sul braccio. Era teso.
Guardò l'armadietto in cui tenevo i miei strumenti. «Io posso impedirti
di andare, lo sai?»
«A che scopo, Pietro? Se quel campanile e quella notte non hanno
significato nulla per te, non siamo marito e moglie solo in grazia di un
documento».
Seguì con le dita il profilo del corpo di Artemide sulla lampada a olio di
mia madre. Notò che lo stavo osservando.
«Prendila. E tua», disse.
Si alzò, si diresse verso una parete, raddrizzò un suo quadro e andò
verso la parete opposta. Inspirò profondamente ed emise tutta l'aria che
aveva nei polmoni. Dopo di che afferrò il suo giubbone e uscì. Non con
rabbia, non sbattendo la porta o con qualche gesto drammatico. Solo
trascinandosi lentamente, come un vecchio. Rimase per un istante con la
mano sulla maniglia, aprì la porta e osservò la soglia. In un momento svanì.
L'ultima immagine che ebbi di lui fu quella di un uomo bello e tormentato,
gravato da segreti doveri.
Non piansi. Mi doleva il cuore, ma non piansi. C'erano troppe cose da
fare. Passai tutta la notte a preparare i bagagli e gli lasciai l'indirizzo di
Gentile attaccato a un cassetto del mio armadietto.
La mattina Palmira era tutta in agitazione. «Viene anche papà?»
Le attirai la testa verso di me. «Lo spero. Un giorno».
Pietro rimase fuori di casa finché non arrivò la carrozza a prendere noi e
le nostre cose, ma lo vidi in piedi, solo, sotto la Loggia dei Lanzi a guardarci
passare.
Non era un mostro, ma solo un uomo imperfetto e poco saggio. Umano.
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