Page 141 - La passione di Artemisia
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16. Graziella
«Guardami, mamma».
Stavo attingendo un secchio d'acqua al pozzo, mentre Palmira saltava in
cerchio attorno a una piantina di tarassaco che cresceva tra due pietre,
cantando una canzone sulla luna che le aveva insegnato Fina. La lodai
distrattamente e poi notai i soffioni che riempivano il cortile, come pallide
lune su steli rigidi - le lune di Giove di cui aveva parlato Galileo e che non
ero mai riuscita a vedere.
Ne colsi uno, lo accostai alle labbra, pronta a soffiarci sopra e ripassai
l'elenco di tutti i miei desideri: vedere un giorno davvero le lune di Galileo,
che Palmira potesse diventare una pittrice brava e rispettata, che Umiliana
avesse trovato lavoro come modella e non dovesse più tornare alle sue
tinozze. E poi i desideri che avevo più a cuore: di non aver mai ingaggiato
Vanna, di non aver lasciato, per generosità, che Pietro la ritraesse nuda, che
il tempo da noi trascorso sul campanile significasse per Pietro più che
un'esplosione di passione, che ammettesse di sbagliare a non amarmi, che
venisse da me quella notte stessa a dirmi che l'aveva lasciata.
Troppi desideri davvero per un soffione solo. Data la situazione, sapevo
che se uno era il desiderio da esprimere, avrebbe dovuto essere questo:
potermi guadagnare da vivere.
Chiusi gli occhi e mi concentrai il più possibile su quel desiderio, anche
se dovetti mettere da parte il pensiero del campanile e delle mani forti di
Pietro sulle mie natiche, che mi attiravano verso di lui. Soffiai decisa,
pensando che Dio mi concedeva ancora di respirare. Il vento non ci aveva
fatto precipitare dal campanile: avrei dovuto sentirmi protetta, ma non ci
riuscivo.
Quando aprii gli occhi, scorsi un ragazzino vestito di stracci che stava
fuori dal portone del cortile.
Ho un messaggio per la signora Gentileschi», disse con una vocetta
acuta, carica di senso di responsabilità.
«Sono io la signora Gentileschi». Allungai la mano, aspettandomi una
lettera.
«Sta qui», disse il ragazzo indicando la propria bocca, aperta in una O
perfetta. «Devo dirvi di andare alla chiesa di Santa Trinità e chiedere di
suor Veronica».
«Quando?»
«Adesso».
«Perché? Che altro sai?»
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