Page 139 - La passione di Artemisia
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con solo un parapetto ad altezza della vita che ci impediva di precipitare di
sotto.
«Guarda!» gridai. «Si può vedere il disegno formato dalle tegole della
cupola». Dovevamo urlare per sentirci.
Mi prese per mano e facemmo un giro attorno al campanile, guardando
in ogni direzione - la cupola di San Lorenzo, la facciata bianca di Santa
Croce, il tetto del corridoio del Vasari, Palazzo Pitti e i suoi giardini e, al di
là, le colline grigie e tetre - tutta Firenze in un colpo d'occhio.
«Pensa alle migliaia di persone che hanno vissuto in questa città e non
hanno mai visto tutto questo», dissi.
Compimmo un altro giro, più lentamente. Si sporse dal parapetto.
«Attento!» gridai.
Il mio panico lo fece rientrare e mi guardò con dolcezza.
«Non preoccuparti. Starò attento».
Il parapetto era scivoloso. Si sporse di nuovo. Lo tenni per il braccio con
entrambe le mani. «Oh, Artemisia!» gridò estasiato. «La gente là sotto è
talmente piccola. Le pietre del selciato della piazza paiono granelli di sale.
Devi vedere. Ecco, ti tengo io».
Mi circondò con le braccia, facendomi sentire sicura e mi sporsi solo di
poco dal parapetto. Il vento mi spinse all'indietro il cappuccio e la pioggia
mi infradiciò i capelli.
«Ohh!» Il vento soffiava la pioggia in ogni direzione e lucidava i muri
degli edifici, i medaglioni alle pareti, le nicchie, le statue nelle nicchie.
«Tienimi più stretta!» gridai sentendo la testa girarmi e, quando lo fece, mi
sporsi ancora. Mi si sciolsero i capelli e lo colpirono sul viso.
Avevo la sensazione che tutto il campanile ondeggiasse nella tempesta.
Chiusi gli occhi. «La terra si muove, si muove!» urlai. «Non è un'illusione.
Lo senti Pietro? Galilei ha ragione. Pensa. Stiamo sfrecciando
nell'universo».
Mi tirò indietro e mi fece voltare, mentre il mio mantello era gonfiato
dal vento. Le sue labbra furono sulle mie, umide, lisce e sensuali. Mi
scivolarono sulla gola, sugli occhi e le mie sulle sue, succose e pressanti nel
tremito di quella sorpresa. Non chiederti il perché, mi dissi. Gli passai le
mani tra i capelli bagnati. Mi afferrò i seni umidi, premette con forza il
ventre contro il mio, facendomi tremare.
Io feci lo stesso.
Lasciammo che la pioggia ci sferzasse, liberandoci il cuore dal sospetto e
dal dolore e ci stringemmo, avvolti dal turbinio del vento e delle nostre
sensazioni, con le ginocchia molli, i suoi occhi lucidi di pioggia, sollevati
entrambi dalla tempesta sopra le sofferenze terrene, entrambi colmi di
struggimento per ciò che un tempo era stato, entrambi disperati per quello
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