Page 135 - La passione di Artemisia
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Non  sapevo  davvero  essere  una  buona  moglie?  Vanna  forse  aveva

          ragione? Nei momenti in cui Pietro e io eravamo più vicini, a letto, i suoi
          bisogni entravano in me e trovavano riscontro, come uno specchio in una
          stanza in penombra, eppure nessuno di noi parlava mai del luogo segreto

          da  cui  quei  suoi  bisogni  provenivano.  Se  l'avessi  fatto,  le  cose  sarebbero
          state differenti?
               Sapevo che non avrei dovuto scrivere a Graziella in uno stato simile, ma
          non potei farne a meno.
               All'inizio ho cercato di osservare, di essere cauta, ma alla fine ho fatto

          proprio la cosa che mi avevi raccomandato di non fare: mi sono consegnata
          a un uomo. A un'illusione, proprio come avevi detto. A un uomo che si dava
          a un'altra. Non ho mai avuto veramente il suo amore. Quello che ho avuto

          era solo ciò che speravo di avere. E ora quello che ho è un primo barlume di
          una perdita triste e penetrante, e perché? In modo che un giorno io possa
          farne pittura?
               Ma  non  mi  dedicherò  alla  vita  conventuale  o  a  Dio,  nemmeno  se  mi
          restasse una sola moneta. Anche se non ho un protettore, del denaro e un

          vero marito, ho un posto in cui vivere.
               Me  lo  assicura  la  mia  dote.  E  ho  del  talento  che  non  nasconderò.
          Scriverò delle lettere. Mi assicurerò un nuovo protettore.

               Mi guadagnerò da vivere. Andrò avanti come se nulla fosse accaduto. Mi
          rifarò una nuova vita.
               Mentre stavo sigillando la lettera con la cera della candela, Pietro tornò
          a casa bagnato fradicio.
              «Tempo  infame»,  bofonchiò  e  appese  a  una  stampella  il  mantello

          zuppo. «Stai scrivendo a qualcuno?» Si sedette al tavolo.
              «Solo a suor Graziella». Spostai la lettera sul bordo del tavolo e vi posai
          sopra  una  mela,  che  avevo  preso  dalla  cesta.  «Voleva  che  le  descrivessi

          delle altre opere d'arte». Gli asciugai i capelli con un asciugamano. I riccioli
          bruni che amavo odoravano di un olio per capelli a me sconosciuto.
              «Pensi che domani smetterà di piovere?» gli domandai.
              Un'osservazione futile.
              «No».

               Riscaldai  il  brodo  e  vi  aggiunsi  delle  cipolle  e  del  pane  raffermo.
          Mangiando, gettava occhiate furtive alla lettera.
              «Che  cosa  hai  fatto  oggi?»  mi  domandò,  cercando  una  mela  e

          scegliendo quella che avevo posato sulla lettera.
              «Ho  cercato  di  insegnare  a  Palmira  a  leggere  e  scrivere  meglio».  Gli
          mostrai i foglietti. «Era terribilmente agitata, ma adesso dorme».
               Leggendo quei biglietti sorrise e poi sfiorò la lettera che avevo scritto a
          Graziella,  non  so  se  casualmente  o  intenzionalmente,  come  se  volesse



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