Page 143 - La passione di Artemisia
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Pitti e desiderava che dipingessi per lui un quadro di grandi dimensioni con
un nudo femminile: si sarebbe deciso il soggetto quando fossi arrivata a
Genova.
Mi offriva una somma discreta, una stanza con studio annesso nel suo
palazzo e forse altre commissioni, se la prima gli fosse piaciuta. Mi
sfuggirono un grido e un sospiro.
Ce-sa-re, un nome imperiale e nobile. Gen-ti-le, gentile e tenero. Il suo
nome mi parve di buon auspicio.
«Grazie a Dio! Palmira, siamo salve». Afferrai Palmira per le mani e la
feci volteggiare, finché i suoi piedini non si sollevarono da terra e lei
cominciò a gridare.
«E papà?» domandò.
«Anche Pietro può venire, se vuole».
Ma la sua domanda mi ricordò mio padre. Papà si trovava a Genova.
Una cosa era scrivergli ogni tanto, un'altra era vivere nella stessa città.
Come avrei potuto comportarmi come se nulla fosse accaduto tra noi?
Soprattutto di fronte a Palmira?
Dovevo provarci.
Alzai lo sguardo e, dietro di lei, vidi il disegno che non avevo finito, fatto
nella Loggia, quello della donna sabina che veniva violentata. Proprio come
Roma, Firenze era una città fatta per gli uomini, edificata in pietra da
uomini come Lorenzo il Magnifico e Brunelleschi, con reputazioni solide
come la pietra. Pietra che ti gelava i piedi d'inverno e li arroventava d'estate.
L'unica donna che apprezzavano era la Maddalena penitente, patetica.
Questa non era una città generosa con le donne.
Forse Genova era diversa.
Genova non aveva Pietro.
E nemmeno io.
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