Page 153 - La passione di Artemisia
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immergervi profondamente dentro di lei. Potreste conoscere segreti che noi
uomini, voi capite, non conosciamo. In secondo luogo, deve essere bella,
ma non troppo bella - per non suscitare l'invidia delle mie deliziose figliole.
Sufficientemente bella tuttavia, perché possano vedere la donna - e dunque
se stesse - come un'opera d'arte. Preziosa». Carezzò l'aria con le mani, come
a tracciare delle curve sensuali. «E poi, come sapete, dev'essere un nudo».
Spalancò le braccia. «Mostrateci la Donna in tutta la sua gloria».
«E la figura? Come deve essere? Allegorica o storica?»
«Storica, storica certo. L'arte deve comunicarci qualcosa, al di là della
pura bellezza».
«Sono d'accordo. Potrei dipingere una Cleopatra distesa.
Che ne dite? Con un mistero da risolvere? Che mostrasse una bellezza
spirituale oltre che fisica? Che soffrisse per una perdita vasta quanto
l'Egitto?»
«Il soggetto non è importante. Mi aggraderà qualunque figura
femminile voi dipingiate. Voi, la più grande pittrice di Firenze».
Pareva che gli stesse a cuore la mia reputazione, qualunque versione
conoscesse, più che la mia pittura. E tuttavia il suo sorriso era totalmente
innocente. Dovevo soltanto stare a vedere.
Spiccò una gardenia dalla pianta e me la porse. Ne aspirai la dolcezza
inebriante. «Di esotica bellezza», osservò.
«Come la vostra Cleopatra, no?»
Quando tornai nelle mie stanze trovai Renata ad attendermi sulla porta.
«Posso aiutarvi? Volete che disfi il vostro bagaglio?»
«Sì, grazie».
Per un momento presi in considerazione la possibilità di usarla come
modella. Possedeva una bellezza naturale, non artefatta. Occhi grigi, dolci,
pensierosi e una bocca morbida, piena e ben disegnata. La bellezza di
Cleopatra però non era priva di artificio, era anzi molto consapevole.
Inoltre il dipinto avrebbe rappresentato un nudo: sarebbe stato indecoroso.
«Dove ritenete che potrei trovare una modella che accetti di posare
nuda?» mi informai.
«Facile. Le prostitute delle banchine sul porto».
«Quali banchine del porto? Tutta la città è un porto».
«Nella taverna di mio fratello. Vi porterò io».
Qualche giorno dopo, quando la famiglia Gentile portò Palmira a fare
una gita in campagna, Renata mi condusse lungo i vicoli tortuosi, ingombri
di biancheria stesa e vivacizzati da gatti e ratti. Sbucammo d'un tratto in
una via più ampia, su cui si affacciavano dei grandi palazzi e scendemmo
per una stradina a gradini, che finiva sulle banchine affollate e si apriva sul
mare grigio. Sotto un cielo splendente gli uomini attaccavano le merci alle
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