Page 129 - La passione di Artemisia
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«Siete la moglie di Pierantonio Stiattesi, che ha lavorato agli affreschi di

          Monte Uliveto?» mi domandò.
              «Sì».
              Strinse le labbra con arroganza. «Una moglie che fa la pittrice».

               Che  voleva?  Che  stessi  a  casa,  spiumassi  oche  e  lucidassi  i  cucchiai
          d'argento?
              «Adesso Stiattesi è un membro dell'Accademia».
              «Sì. Lo siamo entrambi».
              «Capisco. E' stato trattato male».

              «Da chi?»
              «Da  voi,  naturalmente.  Se  siete  di  fatto  sua  moglie  agli  occhi  della
          Chiesa».

              «Certo che lo sono. Non ho fatto nulla contro di lui».
              «Comunque non abbiamo posto qui per il vostro dipinto.
              Mi dispiace».
              «Monsignore, ho dipinto per i Medici».
              «I Medici non sono la Chiesa». Infilò le mani nelle maniche a indicare

          che la conversazione era terminata.
              Ero allibita. Guardai ancora l'affresco con esitazione.
               Qualunque           cosa       avessi        detto       sarebbe         suonata         come

          autocommiserazione.
              Annuii, presi il dipinto e me ne andai.
               A chi avrei potuto rivolgermi? Naturalmente, in teoria, a Pietro, ma da
          quando era stato ammesso all'Accademia stava sempre meno in casa, e io
          pur  non  sapendo  perché  non  volevo  chiedergli  nulla.  Non  sapevo  a  cosa

          avrebbe potuto portare il mio appello.  Papà mi  avrebbe  aiutato,  ma  nella
          sua  ultima  lettera  mi  diceva  che  stava  per  lasciare  Roma  e  andava  a
          stabilirsi  a  Genova.  Non  avevo  modo  di  raggiungerlo  lì.  Mi  imbarazzava

          chiedere  a  Buonarroti  un  altro  prestito.  Non  sapevo  se  Pietro  aveva
          restituito la sua parte dell'ultimo. La mia sola speranza rimaneva Galileo.
               Tornai  a  casa  lungo  il  fiume,  camminando  lentamente  nonostante  la
          pioggia.  Galileo  aveva  i  suoi  problemi.  Non  volevo  disturbarlo.  Quando,
          molti anni prima, era tornato da Roma e avevamo fatto una passeggiata nel

          giardino  di  Palazzo  Pitti,  mi  aveva  detto  di  essersi  inchinato  ai  voleri  del
          cardinal Bellarmino. Era stato obbligato a promettere di non difendere la
          teoria  copernicana.  Le  sue  guance  erano  smagrite  e  parlava  più  piano  di

          prima.
              «Mi addolora sapere che la Chiesa vi tormenta», gli avevo detto.
              «Ho saputo che avete avuto una sfortunata esperienza con un tribunale
          papale», aveva osservato.
              «Spero  che  a  Roma  siate  venuto  a  sapere  cose  più  interessanti  di



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