Page 123 - La passione di Artemisia
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«Dio  mio,  non  averne  paura  Umiliana.  Ecco,  lascia  che  ti  aiuti  a

          indossarlo».
               Velocemente  e  in  silenzio  lasciò  cadere  a  terra  i  suoi  vestiti  e  alzò  le
          braccia.  Mentre  sollevavo  la  veste  sopra  la  testa  di  Umiliana,  Palmira  la

          guardava  invidiosa  con  i  suoi  occhioni  e,  una  volta  che  fu  allacciata,  non
          riuscì più a. trattenersi.
              Si mise a fare gridolini e alzò le braccia ammirata.
              «Pare una regina», gridò e poi le fece un inchino.  Spalancò le braccia
          con  gesto  elegante  di  fronte  alla  poltrona  di  velluto  sfilacciato  che  avevo

          preso in prestito da Fina, e disse: «E questo è il suo trono».
              «Per  piacere,  portami  il  mio  specchio,  tesoro».  Palmira  sfrecciò  via  e
          tornò reggendolo con entrambe le mani, con aria d'importanza.

               Sul  volto  di  Umiliana  si  dipinse  un  sorriso  meravigliato,  incredulo.
          «Non avrò mai un vestito come questo, potete starne sicura».
               Abbassai  lo  scollo  per  mettere  a  nudo  una  spalla.  «E  nemmeno  io,
          probabilmente».
              «Che ne sarà, quando avremo finito?» domandò Umiliana.

              «Oh, immagino che dovrò venderlo».
              «Pare  un  gran  trambusto  solo  per  un  quadro».  Guardandosi  allo
          specchio, passò le dita sui galloni del corpetto.

              «Non quando è tanto importante per il messaggio che deve comunicare
          il dipinto».
              «Vorrei che Giorgio potesse vedermi con questo addosso».
              «Giorgio?»
               Il  vestito  l'aveva  resa  audace,  ma  all'improvviso  ridivenne  timida.  «Il

          mio...»
              «Ah. Certo». Sorrisi. «Quando avremo terminato, potrà venire a vedere
          il dipinto prima che lo consegni. Ma ci vorrà parecchio tempo».

              «Bene».
               Feci sedere Umiliana di tre quarti accanto a un tavolo: le pieghe della
          ricca  gonna  rigonfia  avrebbero  occupato  almeno  due  terzi  del  quadro.  Lo
          specchio  dalla  cornice  di  legno  sul  tavolo  mi  diede  un'idea.  E  se,  nello
          specchio, avessi suggerito l'immagine non della donna che era ora, ma di

          quella  che  sarebbe  diventata?  Ingrigita  ed  emaciata,  col  volto  devastato,
          simile alla versione donatelliana. Facendo indovinare all'osservatore quale
          sarebbe  stata  la  sua  fine  se  si  fosse  pentita  oppure  se  non  l'avesse  fatto.

          Sarebbe  stata  questa  l'invenzione.  La  misi  in  posa  con  la  mano  sinistra
          quasi  a  voler  allontanare  lo  specchio  nell'ombra,  a  impedirsi  di  vedere
          l'orribile beffa del tempo.
              «Metti la mano destra sul seno sinistro. Più in alto. No, non stringerlo.
          Posala soltanto. Bene. Il pollice nel solco».



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