Page 119 - La passione di Artemisia
P. 119

«Vi ammiro signore, per il rischio che correte», dissi in un sussurro.

              «Galileo, vi prego. Non signore».
               Uscimmo sul terrazzo e ci fermammo davanti alla balaustra, lo sguardo
          rivolto a un filare di cipressi, che si stavano scurendo come i pinnacoli di

          una chiesa rivolti verso il cielo.
              «Entrambi  corriamo  dei  rischi»,  osservò.  La  sua  espressione  si
          rannuvolò. «Tra poco dovrò andare a comunicare le mie scoperte al Papa. A
          liberarlo dalle catene di Aristotele e Tolomeo e a chiedere la sua protezione
          nel caso ne avessi bisogno».

              «A Roma! Volete andare a mettervi nelle fauci del leone?»
              «Purtroppo ci sono già».
              «E mi dovrò preoccupare per voi quando ci andrete?»

               Allungai la mano per impedirgli di rispondere. «Qualunque sia la vostra
          risposta,  so  che  dovrò  farlo.  Siete  troppo  fiducioso.  Chiunque  abbia  delle
          idee nuove ha dei nemici. Il potere del Papa è tale da poter ritorcervi contro
          i vostri intendimenti prima ancora che abbiate spento una candela. E' una
          città pericolosa. A Roma un giorno vi innalzano per le vostre idee e il giorno

          dopo le ostacolano.
              Roma ammira i personaggi forti, ma gioisce della loro caduta».
              «Come fate a sapere queste cose?»

              «Dimenticate che sono romana».
               Tacemmo per lungo tempo, ciascuno pensando alla propria Roma, nella
          sera che avanzava.
               Si  avvicinarono  alcuni  ospiti.  «Niente  osservazione  delle  stelle  questa
          sera?»

              «Non sempre il cielo ci accorda ciò che desideriamo», rispose Galileo.
          Rientrò e tornò con un liuto.
              «La  musica  per  liuto»,  gli  ricordai,  «è  la  più  alta  delle  arti.  Più  della

          pittura. Più dei singhiozzi. Suonate qualcosa di melanconico. Per la vostra
          partenza».
              Le note rimasero sospese nel buio che si andava infittendo, e sapevo che
          anche quella serata sarebbe rimasta sospesa, come una stella dietro le nubi,
          nella mia memoria.

               Mentre la gente se ne andava, Galileo scese insieme a me e mi aiutò a
          salire su una delle carrozze in attesa. Sullo sportello della carrozza posò la
          mano sulla mia. «Siate certa che vi scriverò non appena sarò di ritorno». I

          suoi occhi dolci e pensierosi brillarono alla luce di una lanterna.
              «Nel frattempo», dissi, «cercherò di sentire la terra muoversi».









                                                           119
   114   115   116   117   118   119   120   121   122   123   124