Page 105 - La passione di Artemisia
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12. Galileo
Il giorno di san Giovanni si annunciò con lo splendore di un azzurro
terso. L'aria calda e limpida di giugno mi invitò a soffermarmi e inspirare
profondamente quando aprii la finestra sul balcone. I tordi sasselli, tanto
amati da Fina, annunciavano la festa del santo patrono della città.
«Sarà una giornata straordinaria. Sei sicuro che non vuoi venire con me
a Palazzo Pitti?» dissi da sopra la spalla a Pietro, che si stava infilando i
nuovi calzoni color cinnamomo.
«L'invito di Cosimo è per entrambi. Sarà un pranzo di gala. Ci saranno
musici e comici dell'Arte e poi potremo passeggiare nel parco».
«Lascio a te il parco e la musica», disse in tono lieto. «Io vado alla
partita di calcio». Piegò le labbra in un sorriso ironico.
«A fare il pieno, per quest'anno, di barbari che si spaccano il cranio».
Si burlava della brutalità, tuttavia ci andava ogni san Giovanni e aveva il
suo bel daffare a urlare. Negli anni precedenti lo avevo accompagnato in
piazza Santa Croce a vedere le partite - un torneo di quattro bande selvagge,
che si urtavano e si davano calci attorno a un pallone. Ciascuna squadra
portava il nome di una chiesa di uno dei quattro rioni della città e si
sfidavano in una vera e propria rissa in nome di san Giovanni Battista.
L'anno precedente i confratelli della Misericordia avevano portato via in
barella due giocatori.
In occasione di una festività come quella e dal momento che il mio
invito valeva per due persone, pensai di portare con me Palmira. Sarebbe
stata eccitatissima. E poi non volevo che Fina rimanesse confinata in casa,
quando in ogni piazza, c'erano canti e musica.
Pietro cantava con vocione da baritono, affrontando con allegria la
situazione mentre tutti e tre insieme scendevamo le scale e uscivamo dal
portone. Pareva che tutti i fiorentini fossero usciti per le strade. Quando
giungemmo dove corso de' Tintori si innesta sul Lungarno e le nostre
strade si sarebbero separate, Pietro tirò dolcemente l'orecchio a Palmira.
«Fai la brava bambina di fronte al granduca, eh!» A me rivolse un:
«arrivederci, amore», accompagnato da un bacio distratto sulla tempia.
«Arrivederci, amore». Di rado mi chiamava "amore" e così per un
momento lo assaporai. Fui quasi tentata di andare con lui, dato che era di
umore tanto allegro e amorevole, ma un invito a Palazzo Medici non era
cosa da prendere alla leggera. Quando fossimo tornati entrambi a casa ci
saremmo raccontati quello che avevamo visto e fatto. Sarebbe stato come
riviverlo nuovamente.
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