Page 102 - La passione di Artemisia
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Mi circondarono, con le alte gorgiere inamidate tremanti e l'uomo vestito di

          marrone si ritrasse. «Venite da Roma?» domandò una signora, agitando un
          ventaglio di carta dipinta.
              «O da più giù?»

               Mi sentii intrappolata. «Stavo per domandare informazioni sui quadri a
          quel gentiluomo. Pareva sapere...»
              «Chi? Messer Galilei? No, non sa nulla di pittura. E' il matematico di
          corte. Nella sua testa ronzano solo numeri e stelle».
              «Diteci,  vi  prego»,  domandò  un'altra  donna  in  un  sussurro  pungente,

          «al sud avete conosciuto, intimamente intendo, un uomo dalla pelle tanto
          scura come quello sul materasso?» Le altre fecero una risatina.
               Mi controllai a fatica, limitandomi a rispondere di no, per mostrare di

          non aver nemmeno notato l'insulto.
              Fui ricondotta a casa in carrozza e senza accompagnatore.
               Percorrendo Ponte Vecchio, tenni vicino al naso un rametto di lavanda,
          che era stato offerto in omaggio alle signore per evitare svenimenti.
               Nessun  uomo  mi  aveva  detto  che  ero  bella  da  quando  -  odiavo

          ammetterlo - l'aveva fatto Agostino.
               La città era avviluppata da un'ombra di velluto nero. né luna, né stelle.
          Solo  qualche  lanterna  brillava  sul  portone  dei  palazzi,  o  illuminava  le

          immagini scolpite nelle nicchie di qualche santo protettore. A casa di Fina
          svegliai Palmira e la portai giù in braccio: aveva quasi quattro anni ed era
          ormai troppo grande per questo.
              «Ho fatto un sogno, mamma. Ero nel palazzo con te.
              Con un bellissimo vestito rosso», mormorò.

              «Che bello».
              «Ricamato  di  perle».  Quando  la  misi  a  letto  si  era  di  nuovo
          addormentata.

               Pietro  non  era  rientrato.  Accesi  una  candela  e  aprii  una  delle  finestre
          che  davano  sul  balcone,  sperando  nella  brezza  nonostante  il  lezzo.  Da
          qualche  parte  sulla  riva  un  rospo  cantava,  incapace  di  dormire  come  me.
          Cosimo  de'  Medici  mi  aveva  ricordato  un'enorme  ranocchia  regale,  verde
          smeraldo, circondata da insetti svolazzanti, intenti ad agitare i loro ventagli

          come  ali.  Stando  accanto  a  lui  mi  ero  trovata  nel  centro  nevralgico  di
          Firenze,  circondata  da  capolavori,  pittori,  futuri  clienti.  Lo  stesso  Cosimo
          mi aveva chiesto una Maria Maddalena.

               Sì, era una magnifica vittoria. Dolce come i gigli di marzapane, ma una
          vittoria temporanea. Mi stavano davanti, come le perle di una collana, anni
          di  ricevimenti  di  corte,  con  spinette,  poeti  e  musici,  torte  di  mandorle  e
          confetti  profumati,  a  cui  sarei  stata  invitata  solo  quando  Cosimo  avesse
          avuto un mio dipinto da scoprire. Bene.



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