Page 98 - La passione di Artemisia
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Michelangelo,  con  la  Madonna  e  il  Bambino,  il  suo  muscoloso  David,

          l'affascinante,  giovane  David  di  Donatello,  Adamo  ed  Eva  di  Masaccio  in
          Duomo,  la  Venere  di  Botticelli.  Non  mi  sentivo  all'altezza  di  tradurre  in
          parole l'adorazione che provavo per queste opere d'arte. Rinunciai e andai a

          fare una passeggiata con Palmira. Feci parecchi schizzi di quello che avevo
          tentato di descrivere e uno di Palmira che inseguiva i piccioni e li acclusi
          alla lettera.
               Tra una seduta e l'altra davanti al cavalletto, c'erano sempre la spesa da
          fare, il cibo da cucinare, un pasto dopo l'altro, i piatti da lavare. Non sapevo

          mai quando Pietro sarebbe stato a casa e quando no. Finito il suo restauro,
          portò via da casa il cavalletto e alcuni dei suoi strumenti. «Così avrai più
          posto», fu la spiegazione. Una parte profonda di me avvizzì, come i grappoli

          d'uva che si preparano per l'inverno.
               Cominciò  a  vivere  come  mio  padre,  si  vestì  in  modo  più  lussuoso  e
          dipinse, mangiò e andò in giro con i suoi amici ovunque tranne che a casa,
          perdendosi la gioia di veder crescere Palmira. Ricordavo papà che cantava
          per  strada  insieme  ad  Agostino  e  Caravaggio,  mentre  venivano  a  casa

          all'alba traballanti, pavoneggiandosi per le grandi cose che avevano fatto e
          per la loro bravura di pittori. E poi papà passava per le stanze sbattendo da
          una parte all'altra, rovesciando una sedia e crollando infine, puzzolente di

          vino, sul letto.
              Sarebbe stato questo il mio futuro?
              Quell'inverno fu particolarmente freddo. Nevicò persino.
               L'acqua  del  pozzo  gelò  e  certe  mattine  dovevamo  spezzare  il  ghiaccio
          con un'asta di ferro. Palmira si ammalò: ebbe febbre, tosse, raffreddore, e io

          ero terrorizzata. Rimase malata un mese e io smisi di dipingere. All'inizio
          piangeva  molto,  quasi  soffocando  per  i  singhiozzi  finché  divenne  troppo
          debole  per  farlo.  Il  pensiero  di  perderla  mi  terrorizzava  giorno  e  notte.

          Pietro  rimase  a  casa  un  po'  di  più,  per  spezzare  il  ghiaccio  e  portarmi  su
          l'acqua per bagnare degli stracci e abbassare la febbre di Palmira. In preda
          alla  preoccupazione  continuava  ad  andare  dallo  speziale  e  sorvegliava  il
          fuoco,  mentre  la  tosse  stizzosa  di  Palmira  mi  teneva  inchiodata  al  suo
          capezzale.  Una  notte  Pietro  si  mise  a  camminare  su  e  giù  per  la  stanza,

          prendendo in mano gli oggetti, posandoli, non sapendo che fare.
              «Mettiti seduto qui con noi», gli dissi. Esitò. «Potrebbe essere d'aiuto».
               Andò  a  prendere  un'altra  sedia  impagliata,  si  sedette  e  posò  le  mani

          sull'imbottita, sopra le gambe di Palmira.
              «Ricordo una volta che mi ammalai, da piccola. Ero nel dormiveglia e,
          come in una nebbia, sentivo il dolce mormorio delle voci dei miei genitori.
          Non sapevo che cosa stessero dicendo, ma non aveva importanza. L'unione
          delle loro voci aveva un suono naturale e familiare e mi confortò».



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