Page 99 - La passione di Artemisia
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Sulla  tempia  di  Palmira  si  era  appiccicata  una  ciocca  di  capelli,  che  le

          sfiorava  gli  occhi.  Pietro  la  scostò  e  le  massaggiò  le  gambe,  all'inizio  in
          modo goffo e poi posò la testa sul letto. Era il gesto più tenero che gli avessi
          mai visto fare.

              «Dille qualcosa, così può ascoltare anche la tua voce».
               Girò la testa di lato. Gli occhi gli si riempirono di lacrime per il senso
          d'impotenza. «Palmira, il tuo papà è qui», disse. «Starai bene». Annuii per
          incoraggiarlo. «Ti voglio bene, colombella».
               Avevo il cuore gonfio, come se quelle parole le avesse dette a me e gli

          restituii  quella  sensazione,  la  coppa  del  mio  amore,  piena  e  traboccante.
          Nel desiderio di far durare quel momento, gli passai le dita tra i capelli, in
          un gesto che lo rasserenava sempre. Chiuse gli occhi. Quando il suo respiro

          si fu fatto profondo e regolare, mi sdraiai accanto a lui e gli posai la testa
          sulla spalla, poi avvolsi entrambi nel mio scialle.
               Probabilmente dormimmo così per un po', una famiglia unita, come il
          giorno  del  battesimo  di  Palmira.  Quando  lei  si  mosse  ci  svegliammo,  e
          l'irrigidimento  delle  nostre  membra  non  era  nulla  se  paragonato

          all'irrigidimento che feriva di nuovo entrambi. Pietro mi guardò con i suoi
          occhi  scuri  e  misteriosi,  meravigliato  per  l'affetto  che  provava.  Lo  baciai
          appena  sotto  la  tempia.  Un  sorriso  dolce  e  stupito  gli  incurvava  l'angolo

          della bocca.
               Finalmente in primavera la malattia di Palmira regredì e Pietro tornò a
          uscire spesso. Non sapevo dove andasse.
              Non osavo chiedere. Cominciai a provare una nuova pena.
               Ero  in  ritardo  di  un  mese  col  dipinto  e  dovevo  ancora  fare  il  volto  di

          Oloferne. Buttati nella pittura, mi dissi.
               Ma  non  lo  feci.  Palmira  mi  era  ancora  più  cara  dopo  aver  temuto  di
          perderla e così passai con lei più tempo. La sua manina liscia, stretta nella

          mia, mi dava un immenso conforto mentre camminavamo lungo il fiume.
          «Guarda, Palmira. Guarda la luce sull'acqua. Lo vedi come danza?
              Non è verde e basta. E' azzurra, bruna e grigia. Guarda come si muovono
          i colori».
              «Non riesco a vederlo».

              «Rimani ferma e lo vedrai. Basta che tu fissi un punto».
              Ma, per la gioia di star fuori, non riusciva a stare ferma.
              Al di là del fiume c'era una torre merlata con tre archi.

               Mi  inventai  la  storia  di  una  principessa  rinchiusa  lì  dentro  e  del  suo
          triste amante trasformato in un cigno, che viveva lungo la riva erbosa sotto
          quella torre, e continuava ad amarla.
               Quando d'estate il corso d'acqua si assottigliava, ci tenevamo per mano
          e scendevamo sull'argine in pendio. Le piaceva molto sentire l'acqua fredda



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