Page 360 - Il mercante d'arte di Hitler
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collaborando alla ricerca delle opere vendute a privati ad
Amburgo. La dichiarazione non basta a Heise, vuole una piena
ammissione di colpevolezza: «Non solo io, ma tutti gli
appassionati d’arte ad Amburgo a conoscenza della cosa
ritengono che lei non avrebbe mai dovuto far sì che opere così
belle e significative della Kunsthalle di Amburgo andassero
perdute». Insiste per un risarcimento che il commerciante si
rifiuta di concedere. Gurlitt ritiene ancora di aver agito in modo
conveniente e insiste nel dire di aver salvato le opere,
vendendole a terzi. «Non pare oggi forse una dimenticanza o
un’incoerenza che i nazisti non abbiano bruciato anche i quadri
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di Liebermann assieme agli ebrei?», chiede Gurlitt retorico .
Egli avrebbe sempre avuto le migliori intenzioni nei confronti
della Kunsthalle, ne sarebbero prova i prezzi ridotti da lui
richiesti per i dipinti del nonno Louis Gurlitt.
Nella bozza originale della lettera di risposta a Heise, Gurlitt
proseguiva addirittura giustificando i profitti raggiunti: «Il
commercio d’arte è una questione di congiunture favorevoli che
uno deve saper cogliere, se non vuole rimanere un semplice
bottegaio. Né avevo ragione alcuna per non trarre guadagno
dallo Stato che per ben due volte mi aveva portato via il pane e
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il lavoro» . Persino a Gurlitt devono essere evidentemente
venuti dei dubbio sulla sua argomentazione, le righe in
questione mancano nella lettera spedita alla fine. Ma pure alla
versione edulcorata Heise reagisce con sconcerto: «La sua
dialettica è troppo complessa per me». Gli consiglia di rendere
il quadro di Liebermann il prima possibile, onde evitare che egli
debba aprire indagini più ampie e «strombazzare la cosa ai
quattro venti». Una minaccia senz’altro per la discrezione su cui
si basa l’attività del commercio d’arte. Heise vuole impartire a
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