Page 333 - Il mercante d'arte di Hitler
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dal sistema ribatte: «Il mio nome è però rimasto pulito e sono
fiero, dai miei piccoli e timidi inizi nel mercato dell’arte, di
essermi potuto affermare come uno dei più stimati
commercianti in Germania». E pretende di non aver avuto
neppure rapporti con i vertici del partito, di non aver mai
conosciuto nessuno di persona, «benché le strade per arrivare a
loro fossero spalancate davanti a me». Quanto ai quadri di
Liebermann della Kunst halle di Amburgo, Gurlitt li avrebbe
acquistati soltanto per timore che «lo Stato nazista, che uccideva
gli ebrei in massa, potesse non aver remore neppure a
distruggere le opere del più grande artista ebreo». Né avrebbe
mai sfruttato gli ebrei che tentavano di espatriare, il suo intento
piuttosto era di aiutarli a scambiare quadri tedeschi con altri di
maggior valore internazionale. La vendita in Germania di opere
di artisti moderni francesi provenienti da Parigi era potuta
avvenire, stando a lui, solo di nascosto, con il consenso del
governo militare francese: «Hitler detestava questo tipo di arte
moderna». Di nuovo Gurlitt cerca qui di suggerire l’idea che i
suoi traffici parigini non siano stati che un atto di resistenza. La
sua replica alle accuse di Hertmann termina con parole che
ancora una volta mostrano come egli voglia chiudere i conti con
il passato per sempre: «Con l’inizio dell’anno voglio potermi
dedicare senza altre preoccupazioni al grande incarico che mi è
stato affidato a Düsseldorf e poter così servire alla ricostruzione
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tedesca» . Funziona. Gurlitt riesce a convincere la
Spruchkammer, non da ultimo per aver conservato, con lo
scrupolo che lo contraddistingue, tutte le lettere di Ingeborg
Hertmann di quei mesi che sconfessano la donna. Le trascrizioni
autenticate dall’ufficio pastorale di Aschbach sono
accompagnate dalle risposte di Gurlitt. Il loro contenuto va dai
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