Page 331 - Il mercante d'arte di Hitler
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intendere a Gurlitt in una lettera di poter testimoniare soltanto
fino all’anno 1939, avendo vissuto all’estero da quel punto in
poi, Maya Gotthelf, l’insegnante di piano e di canto di origini
per metà ebraiche che fu sua segretaria al Kunstkabinett a
Dresda ancora fino al 1944, si lascia convincere per lealtà, in
nome dei vecchi tempi, a rilasciare false dichiarazioni. Gotthelf
attribuisce a Gurlitt un’attitudine antifascista, assicurando che
mai le lettere commerciali venivano siglate col saluto «Heil
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Hitler!» , cosa che non risulta affatto dalla corrispondenza . Ed
è difficile che ricordi male. Quella dell’ex segretaria è piuttosto
un’affermazione abbastanza comune, che ricorre in numerosi
processi e che raramente può essere confutata dagli Alleati o
dalle autorità. Gotthelf tenta così di ridimensionare il latente
opportunismo di Gurlitt.
Questa strategia è la stessa seguita anche dall’imputato nella
sua difesa. In ragione della sua classificazione razziale sotto il
Terzo Reich, Gurlitt non deve darsi alcuna pena a dimostrare di
non essere mai stato in prima persona un membro attivo del
Partito nazista. Deve invece solo riuscire a ridurre il grado delle
concessioni da lui fatte al partito, per potersi rappresentare nel
ruolo di mercante d’arte autonomo dal sistema. I vantaggi di cui
ha goduto vengono sminuiti, nell’intento di sviare l’attenzione
dagli svantaggi che egli ha accettato di arrecare ad altri. Per
questo Gurlitt evita inizialmente di consegnare agli Alleati,
ovvero alla Spruchkammer, attestati a sua discolpa come quello
di Felix Kuetgens, che, essendo questi stato ufficiale tedesco
alla Tutela del patrimonio artistico a Parigi, non è di alcuna
utilità. Le sue dichiarazioni, secondo cui Gurlitt dal 1940 al
1944 si sarebbe attenuto alla propria coscienza nelle
contrattazioni franco-tedesche sulla vendita e l’esportazione di
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