Page 72 - Papaveri e papere
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oltre qualsiasi aiuto psichiatrico».
- Richard Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston (1970): «Non
diverrà mai un paperback», parola di James Galton della casa editrice
Popular Library (nel frattempo, l’edizione economica del romanzo ha
superato i dieci milioni di copie).
- Oscar Wilde, II ventaglio di Lady Windermere (1892): «Mio
caro signore, ho letto il vostro manoscritto. Oh, mio caro signore»
(classico esempio di britannico under statement…).
- H.G. Wells, La guerra dei mondi (1897): «Credo che il
verdetto sarebbe: ‘Oh, non leggete quel libro orrendo!’» (nel frattempo
divenuto un classico della fantascienza, riproposto innumerevoli volte
dal cinema, l’ultima con Tom Cruise).
Naturalmente, una certa dose di «incomprensione», per usare un
eufemismo, accompagna spesso anche i fortunati che arrivano senza
troppi problemi alla pubblicazione. Émile Zola, per dire, non ha
difficoltà a inquadrare nella giusta prospettiva un poetastro troppo
incline allo spleen, perfino quando ne scrive in occasione della morte:
«Fra un centinaio d’anni le storie della letteratura francese lo
menzioneranno solo come una curiosità». Di chi parlava? Ah sì, di un
certo Charles Baudelaire, autore di un libriccino intitolato I fiori del
male…
Ma ce n’è anche per lei, caro Monsieur Zola. Che dalle parole del
critico Max Nordau risulta «un degenerato di prim’ordine», che si
crogiola nella «coprolalia e la predilezione per il gergo»: «Che sia uno
psicopatico sessuale viene fuori da ogni pagina dei suoi romanzi».
Eugène Poitou, autorevole letterato parigino, non si esercita in profezie
di durata ma preferisce dare una volta per tutte la giusta collocazione a
Honoré de Balzac: «Il posto del signor de Balzac nella letteratura
francese non sarà né considerevole né alto», scrive certissimo nel 1856.
L’autore della Comédie non se la prenderebbe se sapesse che cosa pensa
il Figaro, addirittura un secolo dopo (1957), del romanziere di Madame
Bovary: «Il signor Flaubert non è uno scrittore». E pace.
Oh, a proposito di pace… Da non perdersi il giudizio di re Giacomo I
Stuart, nel 1610, sul poeta John Donne (che trecento anni dopo avrebbe
prestato il suo verso più famoso come titolo dell’hemingwayano Per chi
suona la campana)’. «I versi del dottor John Donne sono come la Pace
di Dio; oltrepassano qualsiasi comprensione». All’incirca, secondo il