Page 55 - Papaveri e papere
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precisamente l’uomo che gli sede va di fronte. «Non tu, naturalmente», si
affrettò ad aggiungere. «Voglio dire l’altro Edward Knoblock.»
E evidente che questa è una gaffe senza alcuna via d’uscita, un esempio
classico del tipo generato da una momentanea perdita di controllo sui
propri sentimenti più autentici. Parecchi anni dopo, se ne rende
protagonista la giovane attrice Drew Barrymore, intervistata dalla
rivista Première: «Lei spera di avere bambini?» le chiede il giornalista.
E Drew, enfaticamente: «Certo che sì! Vorrei averne almeno due, perché
non ho avuto un fratello o una sorella con cui crescere».
Improvvisamente, una pausa. «Voglio dire», riprende incerta, «ho un
fratello, ma di fatto non abbiamo speso troppo tempo assieme.» Una
seconda pausa. «E ho una sorella, anche!»
Si tratta, all’apparenza, di uno di quei casi in cui i rapporti famigliari
sono decisamente laschi. Ma accade pure che sia il contrario a
trasformarsi in un’involontaria fonte di imbarazzo. Judi Dench è oggi
una delle più amate attrici britanniche, premiata con l’Oscar,
protagonista di blockbusters come le pellicole di 007 ma anche (e
soprattutto) di film deliziosi su un’Inghilterra decorosa e gentile che
oggi non esiste più. Anche lei di formazione teatrale, negli anni
Sessanta recitava Romeo e Giulietta all’Old Vie, il più titolato teatro
londinese. All’udire la notizia della morte del cugino Tebaldo, Giulietta
gridava come da copione: «Dove sono mio padre e mia madre, nutrice?»
Il padre dell’attrice, un medico, che giusto quella sera sedeva tra il
pubblico assieme alla moglie, scattò in piedi e annunciò: «Siamo qui, cara,
nella fila H!»
Salire sul Carro di Tespi ha sempre voluto dire una vita di viaggi, di
nomadismo. Be’, a dispetto di questa caratteristica ineliminabile della loro
professione, molti attori o personaggi dello spettacolo confermano
quell’allergia alla geografia che abbiamo già riscontrato in autorevoli
protagonisti della politica. In particolare, parecchi americani di gran nome
hanno le idee alquanto confuse sul numero effettivo degli Stati
dell’Unione. Ra- quel Welch, il prototipo della maggiorata anni Sessanta,
dichiarava: «Mi hanno chiesto di venire a Chicago perché Chicago è uno
dei nostri cinquantadue Stati». Il guaio è che non è uno Stato, e gli Stati
son sempre cinquantuno. Va bene, dopo tutto solo uno di troppo (Obama
ne ha aggiunti sei…). Ma considerando la frequenza dell’errore non
sarebbe il caso che a scuola negli States si insistesse un po’ di più su questi
basilari dettagli numerici?