Page 10 - Papaveri e papere
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Ricorderete probabilmente la sua sortita contro Bush nei giorni peggiori
            della crisi di Wall Street, quando l’inerzia del presidente ormai sul viale

            del tramonto sembrava tale da provocare un aggravamento delle difficoltà.
            Fu  allora  che,  novello  Demostene,  Biden  tuonò:  «Bisogna  fare  come  il
            presidente Franklin Delano Roosevelt, quando nel 1929 si presentò in tv

            davanti al Paese e spiegò cosa era successo». Giusto, dannazione… Solo
            che nel 1929 la tv non era stata ancora inventata, e inoltre Roosevelt fu
            eletto presidente solo tre anni dopo.

            Pasticci  prodotti  dall’adrenalina  elettorale,  si  è  poi  giustificato  Biden.

            Come il suo sciagurato appello: «Alzatevi, democratici! È venuto il nostro
            tempo». Ma un ragazzo non si alzava: «Forza, anche tu, in piedi!» gli ha
            urlato il senatore, prima di accorgersi — annichilito dall’imbarazzo – che

            il  poveretto  era  paraplegico.  «Ah,  scusa…  Che  Dio  ti  benedica…»  ha
            appena trovato la forza di biascicare.

            Il sessantaseienne Joe confonde le brigate coi battaglioni, e spesso ha
            scambiato  anche  la  presidenza  con  la  vicepresidenza,  dichiarando  di
            correre  per  la  prima.  Impagabile,  in  un  comizio  congiunto,  la

            presentazione di Obama come «Barack America», e qui la scivolata si
            tinge di qualche retropensiero: un cognome da schiavo per un nero. E
            Biden del resto è più volte incappato in polemiche per osservazioni dal

            tono vagamente razzista. Come quando, nell’estate del 2006, sottolineò
            la  vistosa  crescita  nel  suo  Stato,  il  Delaware,  di  immigrati  dall’India.
            Purtroppo per lui, non si fermò alla statistica e aggiunse: «E impossibile

            andare in negozi di alimentari coine 7-Eleven o Dunkin’ Donuts se non
            si  ha  un  accento  indiano.  Non  sto  scherzando».  Non  scherzarono
            nemmeno  gli  attivisti  antidiscriminazione,  pronti  a  reagire  indignati  a
            un  commento  inconcepibile  in  un  melting  pot  razziale  come  quello

            americano.  Lui  chiarì,  spiegò.  E  ci  ricascò.  Stavolta,  nientemeno,  col
            signore  decisamente  colorato  che  sarebbe  diventato  il  suo  futuro
            compagno di corsa elettorale nonché presidente.

            Proprio il giorno in cui annunciò la sua candidatura il senatore rilasciò

            infatti  anche  un’intervista  al  New  York  Observer.  Con  molta
            condiscendenza,  definì  Obama  come  «il  primo  esponente  di  spicco
            afroamericano che è eloquente, brillante, pulito e di aspetto perbene».

            Sottinteso: anche troppo per un nero. In seguito, Biden ammise di aver
            sbagliato e fece le sue scuse a Barack.

            Resta,  nell’attuale  vicepresidente,  un  fondo  di  candore  che  lo  rende
            simpatico,  ma  anche  esposto  come  pochi  ai  rischi  esiziali  della  trappola
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