Page 88 - Francesco tra i lupi
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luna di miele e verrà il momento delle decisioni, lo attenderanno ai piedi del muro», sospira l’ultraottantenne
cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante di Giovanni Paolo II nelle zone di crisi e fautore della svolta
di Bergoglio. «Ai piedi del muro» è un’espressione francese per indicare la situazione in cui si è faccia a faccia
con le difficoltà. «Cambiare le persone negli incarichi è facile, il difficile sta nel cambiare la mentalità e le
abitudini dei cristiani con una visione passatista», conclude Etchegaray.
Un pontefice che ogni giorno produce una novità, disorienta. Il nemico più subdolo della politica di riforma
di Francesco si annida nel sottobosco vaticano. Tra quanti sono abituati a intrallazzare con faccendieri di vario
tipo. Economicamente il Vaticano soddisfa un certo bisogno di benessere per chi, come ama ricordare il
papa, ha lasciato da parte Cristo e si è votato allo spirito mondano. Un capo ufficio, che guadagna 2800 euro,
può arrotondare lo stipendio con la carica di cerimoniere pontificio e un’aggiunta di altri 2000 euro. Se si
posiziona come beneficato del capitolo di San Pietro, sono 1500 euro in più. Chi è membro di qualche
commissione porta a casa tra i seicento e gli ottocento euro. Tutto esentasse, senza contare gli appartamenti a
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prezzi di favore .
Ma ci sono quelli che vogliono di più. È una minoranza e sono lupi rapaci. Gli scandali, che periodicamente
esplodono sui media, recano un danno incalcolabile alla Santa Sede. «A partire dagli ultimi anni di Giovanni
Paolo II l’assenza di un papa governante ha creato cattive pratiche», racconta un diplomatico che ha seguito da
vicino il Vaticano. «Si è formato un sistema di potere malsano che va smantellato». Una rete di rapporti
personali e di interessi tra persone spregiudicate di qua e di là del Tevere. L’esplodere ciclico di scandali
economici ne è una prova. Forte è il collante dell’omertà. Un cardinale nordeuropeo confida di essere stato
contattato a suo tempo da un vescovo, venuto a conoscenza di operazioni opache in un dicastero vaticano. Era
una vicenda da milioni di euro. Il porporato mandò una lettera al segretario di Stato, invocando il «caso di
coscienza». Non ebbe mai risposta. A sua volta non osò portare in pubblico la questione.
C’è un mondo di malaffare a cui dà molto fastidio un papa che «punta a fare pulizia totale». La denuncia viene
dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, secondo cui la mafia finanziaria è disturbata nei
suoi traffici da un pontefice che «rema contro il lusso, è coerente, è credibile». Gratteri spiega che Francesco
ha lanciato subito segnali importanti e «chi finora si è nutrito del potere e della ricchezza, che derivano
direttamente dalla Chiesa, è nervoso, agitato. Papa Bergoglio sta smontando centri di potere economico in
Vaticano. Se i boss potessero fargli uno sgambetto non esiterebbero». Alla domanda se il pontefice sia a rischio
il magistrato risponde: «Non so se la criminalità organizzata sia nella condizione di fare qualcosa, ma di certo
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ci sta riflettendo. Può essere pericoloso» .
La curia è un intreccio di vite particolari. Scenario di riflessioni raffinate e sabbie mobili letali. Il collante
che ha tenuto sempre tutto insieme – al di là di tensioni, contrasti e conflitti – è stata l’idea del papato come
potere assoluto. Riassumibile in un flash cinematografico: il colonnato del Bernini che abbraccia il mondo
intero, la cupola di Michelangelo riflesso di una Chiesa struttura perfetta, e sul culmine la croce... a richiamare
Cristo e il suo vicario che sta al di sopra di re e presidenti del pianeta.
È in questo quadro che Francesco sta portando la divisione. Da una parte, coloro che non vogliono staccarsi
dalla vecchia immagine e dal vecchio esercizio del potere. Dall’altra, quelli che sono disposti all’avventura di
rimodellare la Chiesa per renderla capace di parlare agli uomini e le donne del terzo millennio.
La curia è anche un microcosmo di gelosie, abnegazione, pettegolezzi micidiali, carrierismo e spirito di
servizio. «Ci sono santi nella curia romana», ha detto più volte il pontefice riferendosi ai monsignori modello,
che svolgono il loro lavoro con professionalità e insieme sono uomini di preghiera e si dedicano nel tempo
libero a opere di assistenza. Però Francesco non ignora quello che non va. «Credo che la curia sia un poco
calata dal livello che aveva un tempo», ha dichiarato pochi mesi dopo il suo arrivo, rimpiangendo il profilo del
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vecchio «curiale fedele, che faceva il suo lavoro» . C’è una spiegazione sociologica per l’appannamento di
qualità del ceto curiale: il calo delle vocazioni. In epoche passate, a fronte di vocazioni copiose, un vescovo
mandava i sacerdoti migliori in Vaticano e aveva ancora ottimo personale per la diocesi. In una stagione di
scarsità, se un vescovo trova un buon elemento tra i giovani preti, tende a tenerselo stretto come suo
collaboratore.
Non è un caso che Francesco, nel suo primo discorso natalizio alla curia, abbia insistito sulla professionalità:
«Competenza, studio, aggiornamento... Questo è un requisito fondamentale». Come secondo requisito ha