Page 85 - Francesco tra i lupi
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Lo storico Roberto de Mattei, fautore del creazionismo e duro polemista nei confronti del concilio Vaticano
    II,  ha  contestato  sul  «Foglio»  l’ipotesi  di  una  riforma  della  monarchia  papale.  De  Mattei  –  sostenuto
    silenziosamente da un settore della gerarchia ecclesiastica – non ammette che si parli di primato d’onore o
    d’amore del vescovo di Roma: la formula usata da Francesco la sera dell’elezione. La caratteristica del romano
    pontefice, insiste polemicamente de Mattei, è il suo potere di suprema giurisdizione, «pieno e assoluto», che
    lo distingue da ogni altro vescovo. Il suo è un potere di governo supremo. Un eventuale cambiamento, avverte
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    de Mattei, «non toccherebbe la forma storica, ma l’essenza divina del papato» .
      Sono segnali lanciati per conto terzi al papa argentino per bloccare sul nascere il progetto di promuovere la
    «collegialità» nelle strutture della Chiesa cattolica.
      Avvertimenti  provenienti  dagli  stessi  ambienti  approdano  nelle  cronache  di  un  osservatore  attento  e
    minuzioso delle vicende ecclesiastiche: Sandro Magister. Alcuni gesti di Francesco, ha notato Magister sin dai
    primi  passi  del  pontificato,  «hanno  acceso  nell’opinione  pubblica,  dentro  e  fuori  il  cattolicesimo,  cattive
    tentazioni: dalla liquidazione del governo centrale della Chiesa alla scomparsa del titolo di papa, dall’avvento di
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    una “nuova Chiesa” spirituale alla umiliazione... della simbolica di riti, abiti, arredi, edifici sacri» .
      Con il procedere del pontificato l’opposizione alla linea-Bergoglio si è fatta più netta. Sempre sul «Foglio»
    due  rappresentanti  dell’area  tradizionalista,  il  giornalista  Alessandro  Gnocchi  e  il  canonista  e  docente  di
    bioetica Mario Palmaro, entrambi collaboratori di Radio Maria, hanno stilato un articolo dal sapore di un
    manifesto:  «Questo  papa  non  ci  piace».  Una  serrata  critica  nei  confronti  della  «esibizione  di  povertà»  di
    Francesco,  una  condanna  del  suo  rifiuto  di  incoraggiare  il  proselitismo,  un  atto  di  accusa  contro  il  suo
    soggettivismo morale – per aver detto a Scalfari che «ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve
    scegliere  di  seguire  il  Bene  e  combattere  il  Male  come  lui  li  concepisce»  –  una  contestazione  globale  del
    concetto di Chiesa come «ospedale da campo».
      L’aspetto più inquietante del pensiero di Bergoglio, concludono Gnocchi e Palmaro circondati dal plauso
    discreto  degli  oppositori  del  papa,  consiste  nell’«idea  di  un’alternativa  insanabile  fra  rigore  dottrinale  e
    misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra... Si assiste al fenomeno di un leader che dice alla folla proprio
    quello che la folla vuole sentirsi dire». I due sfidano Bergoglio. Ci sono «leggi immutabili persino dal vicario di
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    Cristo», affermano. «Cristo non può essere un’opzione tra le tante. Almeno per il suo vicario» . All’indomani
    della  pubblicazione  Radio  Maria  ha  licenziato  i  due  collaboratori,  ma  Francesco  ha  alzato  la  cornetta  del
    telefono chiamando Palmaro, per non dare adito nemmeno all’ombra di una censura.
      Anche in America esponenti cattolici senza tonaca si sono fatti carico di aprire le ostilità contro il pontefice.
    Michael Novak, saggista conservatore, butta il sasso: «Un amico mi ha chiesto se il papa si rende conto dei
    danni che fa con questi  commenti estemporanei. Usare la parola “ossessione”  nei confronti di chi lavora
    sempre in difesa della vita, è una cosa che ferisce». In sintonia con lo schieramento tradizionalista cattolico,
    Novak  –  sostenitore  di  Giovanni  Paolo  II  e  di  papa  Ratzinger  –  ha  affermato  che  con  i  suoi  interventi
    Francesco «incoraggia le critiche contro la Chiesa da parte dei suoi avversari dichiarati, che non aspettavano
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    altro» .
      Negli Stati Uniti, come ricorda lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli, opera una robusta rete di
    università,  college  e  lobby  cattoliche  che  –  al  pari  dei  settori  conservatori  protestanti  –  considerano  una
    visione  di  fede  tradizionalista  essenziale  per  la  salute  morale  dell’America.  È  un  blocco  che  guarda  con
    sospetto, se non con aperta ostilità, alle innovazioni pastorali di Francesco.
      Tra gli oppositori di qualsiasi latitudine il segno di riconoscimento è la proclamazione di non voler far parte
    del coro dei plaudenti. L’altra tendenza è quella di travestire le critiche da consigli. Non è positivo il «mancato
    controllo da parte di persone di fiducia, ma sagge e colte e italiane, dei testi [papali] destinati a circolare», ha
    scritto  il  filosofo  e  sociologo  della  religione  Pietro  De  Marco.  In  Francesco  affiorerebbe  una  «certa
    inclinazione autoritaria... tipica dei “rivoluzionari” democratici, con il rischio di imprudenti collisioni con le
    tradizioni millenarie». Il filosofo riserva a Bergoglio un’annotazione molto dura. Francesco si aggrapperebbe
    alla  dimensione  mediatica  come  se  «temesse  di  non  sapere  cosa  fare  una  volta  rimasto  solo,  da  papa,
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    nell’appartamento dei papi» .
      La resistenza passiva è uno dei modi secolari di esprimere critica senza esporsi. «Lasciamolo parlare», è la
    reazione dell’opposizione silenziosa, che si sta facendo più insistente, confidando nel fatto che i papi passano e
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