Page 83 - Francesco tra i lupi
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XIII. I nemici di Francesco














    I  nemici  di  Francesco  agiscono  e  parlano  dietro  le  quinte.  Si  mimetizzano  nel  clima  di  plauso  generale,
    mostrano ossequio per il papa e non accettano nemmeno di essere definiti suoi avversari. Dicono di voler
    evitare che faccia errori. In privato sanno essere taglienti. Simili al cardinale Siri, arcivescovo di Genova dal
    dopoguerra al 1987, che considerava incapace Giovanni XXIII e definiva un «disastro» il concilio Vaticano II.
      In alcuni ambienti della curia la moda è di irridere l’eloquio semplice di Francesco e attribuirgli una scarsa
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    consistenza dottrinale. «Parla come un parroco di campagna», ha detto un cardinale ad Andrea Riccardi . «Se
    tutti i parroci di campagna avessero parlato così, la storia della Chiesa sarebbe stata diversa», ha replicato il
    leader della comunità di Sant’Egidio. Anche all’estero ci sono cardinali che lanciano frecciatine sull’esigenza di
    «aiutare il papa con la teologia», elogiando platealmente Benedetto XVI.
      I  malumori  nei  corridoi  della  curia  sono  cominciati  la  sera  dell’elezione.  Al  coro  di  entusiasmo  per
    l’essenzialità della sua apparizione si sono affiancate critiche sottili perché non portava la stola, rifiutava le
    scarpe  rosse,  evitava  ostentatamente  la  parola  papa.  Bergoglio  rompeva  troppi  schemi.  «Si  voleva  un
    cambiamento, un nuovo stile, ma i cardinali non si aspettavano un’aria così fresca!», commenta con umorismo
    l’ottantenne cardinale Murphy-O’Connor, già arcivescovo di Westminster. «Un uomo del genere è stata una
    sorpresa».
      Sorpresa sgradita ai nostalgici del ratzingerismo, inteso come difesa cerebrale dell’identità e della tradizione
    veicolata attraverso un raffinato discorso teologico, filosofico e culturale. «Francesco è più attento alle posizioni
    pastorali che a quelle dottrinali – spiega un capo dicastero vaticano – cioè l’esatto opposto di prima». Quando il
    papa dice alla «Civiltà Cattolica» che non si può essere ossessionati continuamente dall’intervenire su aborto,
    contraccettivi, matrimonio gay, il malcontento dei conservatori si riverbera sui siti web. Immediatamente
    arrivano intimazioni perché il pontefice faccia «chiarezza». Oppure si manifesta «smarrimento» perché non
    interviene contro la legge sull’omofobia in discussione al parlamento italiano o contro le linee guida dell’Onu
    sull’educazione  sessuale  della  gioventù,  che  produrrebbero  confusione  tra  ciò  che  è  naturale  e  ciò  che  è
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    «contro-natura» .
      Il linguaggio di Francesco irrita e spaventa i settori più tradizionalisti della curia. Spaventa quando evoca i
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    «piccoli mostri», prodotti di una educazione sbagliata nei seminari . Irrita quando fustiga i «preti untuosi» che
    si abbandonano alla vanità e si riconoscono per un «atteggiamento e un linguaggio lezioso... il prete-farfalla,
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    idolatra del dio Narciso» . Sconvolge, perché non rimane nei limiti delle pie esortazioni, ma con linguaggio
    diretto individua il marcio.
      Il papa, che durante un’udienza generale si china a prendere la borsa caduta a una signora, disgusta i fautori a
    oltranza della sacralità del ruolo pontificale. «Il suo stile di grande semplicità non piace a chi immagina il papa
    sempre sul trono e con la mitria in testa», osserva il vice-decano del collegio cardinalizio Giovanni Battista Re.
      In curia sono annidati focolai di critica e malumore. La tendenza di Francesco a semplificare il cerimoniale
    inquieta gli zelanti custodi del protocollo. Ha disturbato il solo fatto di cambiare il luogo dove celebrare la
    lavanda dei piedi il giovedì santo, scambiando la basilica di San Giovanni con il carcere di Casal di Marmo.
      Parecchi cardinali non hanno digerito la decisione di Francesco di non trasferirsi nell’appartamento papale.
    «Un capo deve stare lì, nel suo appartamento – scandisce un cardinale di curia – Non è bene che alcuni lo
    incontrino casualmente e altri no». Rincara un porporato di lungo corso: «Lasciare la residenza di tanti papi è
    quasi una critica nei loro confronti... è un controsenso vivere da una parte e poi recarsi nel palazzo apostolico
    per gli impegni ufficiali». Per mesi si è irradiata una retorica sottilmente velenosa sulla «luce spenta» nello
    studio papale, che in piazza San Pietro non indicherebbe più a tarda sera a fedeli e passanti che il papa lavora.
      Quello che cardinali e monsignori riluttanti al nuovo corso non possono dire apertamente, si scatena sulla
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