Page 92 - Francesco tra i lupi
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Esiste in curia un nucleo duro che si riconosce nelle barriere erette da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
    su una serie di problemi, emersi nel rapporto tra Chiesa e cultura contemporanea e riguardanti il modo di
    concepire la vita di relazione, il ruolo delle donne, la funzione del sacerdote.
      Raymond Burke, chiamato da papa Ratzinger in curia nel 2008, ne fa parte. Da arcivescovo di St. Louis
    sosteneva  il  dovere  di  negare  la  comunione  al  candidato  presidenziale  democratico,  John  Kerry,  perché
    fautore della legge sull’aborto. Aveva anche criticato il cardinale di Boston O’Malley per la celebrazione dei
    funerali di Ted Kennedy in chiesa. «Né funerali né comunione dovrebbero essere amministrati ai politici
    abortisti», è stata la sua tesi. Radicalmente opposto l’atteggiamento del cardinale O’Malley: «Non cambieremo
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    i cuori, abbandonando le persone nel momento del bisogno e del lutto» .
      Burke  nel  maggio  2013  ha  voluto  partecipare  personalmente  alla  marcia  per  la  vita,  indetta  a  Roma  dai
    gruppi  cattolici  più  integralisti.  Il  porporato  americano  avversa  la  cosiddetta  «lobby  multimiliardaria»,  che
    sarebbe impegnata nel diffondere la cultura contraccettiva, l’aborto, lo snaturamento della famiglia. L’«agenda
    omosessuale», ha dichiarato, è frutto delle «menzogne che vengono da Satana» (al diavolo accennò, peraltro,
    anche il cardinale Bergoglio a Buenos Aires quando combatteva la legge sul matrimonio omosessuale).
      Nel  dicembre  del  2013  Burke  ha  sfidato  apertamente  Francesco.  Il  papa  aveva  appena  affermato
    nell’intervista alla «Civiltà Cattolica» che la Chiesa non può «insistere solo sulle questioni legate ad aborto,
    matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi». Intervistato dalla televisione cattolica statunitense
    «Ewtn», Burke ha ribattuto che non ci potrebbe essere nulla di «più essenziale» della legge morale naturale.
    «Non possiamo mai parlare abbastanza fino a quando nella nostra società la vita umana innocente e indifesa è
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    attaccata nella maniera più selvaggia» .
      Il secondo elemento di questo nucleo arroccato a difesa della dottrina ratzingeriana è il cardinale Mauro
    Piacenza,  cui  il  papa  ha  tolto  la  direzione  della  congregazione  per  il  Clero  spostandolo  alla  Penitenzieria
    apostolica.  Piacenza  è  un  intransigente,  allevato  dal  cardinale  Siri,  oppositore  tenace  del  riformismo
    conciliare.  Piacenza  ha  indicato  all’esempio  del  clero  il  curato  d’Ars  Jean-Marie  Vianney,  vissuto  in  un
    villaggio  francese  nella  prima  metà  dell’Ottocento,  in  un  ambiente  totalmente  slegato  dalle  problematiche
    contemporanee. Netto il suo no alla revisione del celibato dei preti e al sacerdozio delle donne, sebbene già
    prima  dell’avvento  di  Francesco  non  escludesse  che  una  «grande  economista»  potesse  diventare  «capo
    dell’Amministrazione della sede apostolica oppure portavoce della sala stampa vaticana». Sulla collegialità nel
    governo della Chiesa Piacenza si ferma nell’empireo delle astrazioni. La gerarchia nella Chiesa è di «diretta
    istituzione divina» e la sostanza della collegialità non è socio-politica, ma consiste nel «cibarsi dell’unico pane
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    [eucaristico] e vivere l’unica fede» .
      Anche  il  cardinale  Müller  appartiene  al  gruppo  dei  difensori  della  dottrina.  Conosciuto  da  vescovo  di
    Ratisbona per il suo autoritarismo in diocesi, in Vaticano è arrivato nel 2007 su invito di Benedetto XVI per
    guidare il Sant’Uffizio. Nel dicembre 2013 ha tenuto una conferenza per riconfermare i principi di bioetica
    così come formulati durante la stagione di Wojtyla e di Ratzinger, tralasciando gli impulsi forniti da quasi un
    anno di pontificato di Francesco. L’impostazione è quella autoritativa più volte espressa da Benedetto XVI:
    «La bioetica formula e verifica regole morali per il comportamento tecnico e scientifico nei confronti della
    vita  in  generale  e  in  particolare  della  vita  umana».  E  l’insegnamento  della  Chiesa  non  difende  interessi
    particolari cattolici, bensì tutela in linea generale la dignità delle persone e le «condizioni della vita e della
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    coesistenza umane» .
      Su altri piani, a denotare le sfaccettature delle personalità curiali, Müller si dimostra più aperto. Allievo del
    teologo della liberazione Gustavo Gutiérrez, il porporato ha scritto con lui un libro per rilanciare una teologia
    «dalla parte dei poveri». Come teologo, il cardinale ha affermato in un volume di dogmatica che la verginità di
    Maria anche «nel parto» (così recita il dogma proclamato al secondo concilio di Costantinopoli nell’anno 553)
    non va intesa «come una peculiarità fisiologica anomala nel processo naturale della nascita», cioè come se
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    l’imene non si rompesse, ma nel contesto dell’influsso salvifico del Redentore . In un volume sulla messa, il
    teologo  tedesco  si  è  espresso  contro  ogni  concezione  materialistica  del  sangue  e  del  corpo  di  Cristo
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    nell’eucaristia .  D’altronde,  a  dimostrazione  di  quanto  possano  essere  fluide  le  frontiere  all’interno  della
    curia, lo stesso papa Francesco ha scritto la prefazione all’ultimo saggio di Müller sulla povertà e la missione
    della Chiesa.
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