Page 87 - Meditazione sui colori
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LEZIONE IV










      1. IL GIALLO

      Dopo aver attraversato la “zona di confine” tra i due colori primari, il rosso e il giallo, i cui
      margini  si  sovrappongono  in  quella  particolare  fase  di  formazione  del  io  costituita
      dall’arancione,  entriamo  nella  piena  “luce  della  conoscenza”:  conoscenza  di  se  stessi,  sul
      piano psicologico, nella dimensione della razionalità, eppure già con un intenso desiderio di
      andare oltre.

         Questa spinta allegra ed estroversa, che reca in sé un’attesa di maggiore felicità attraverso
      la  ricerca  del  nuovo  e  del  cambiamento,  costituisce  una  fase  fondamentale  nel  cammino
      evolutivo, destinata a determinarne la direzione e l’esito. La si può paragonare ad un bivio, la
      famosa  Y  di  Pitagora:  infatti,  se  ben  intesa,  si  rivela  fin  dall’inizio  come  una  preziosa
      intuizione di trascendenza, che porterà l’io a superare se stesso e ad entrare nel terzo stadio
      evolutivo,  quello  spirituale,  rappresentato  dal  terzo  colore  primario,  il  blu,  attraverso
      quell’esperienza  “di  confine”  e  di  trasformazione  che  è  l’amore  (verde);  se  invece  questo

      impulso  viene  interpretato  come  una  spinta  espansiva  dell’io,  un  desiderio  insaziabile  di
      accumulare,  si  trasforma  in  una  processo  di  autoaffermazione  e  di  autocelebrazione,  la  cui
      parabola non può che portare ad un pericoloso senso di insoddisfazione.
         D’altro canto solo un io forte può trascendere se stesso e accettare come logico sviluppo
      quella rivoluzione copernicana innescata dall’amore e dal sentimento di altruismo. L’io deve
      prima raggiungere la sua piena maturazione. Solo ciò che è totalmente pieno può totalmente

      svuotarsi.
         L’io non è certo un nemico da combattere o una componente negativa che ci si deve sforzare
      di sopprimere, secondo una certa morale posticcia o un principio spirituale male inteso. È il
      «chicco di frumento», il «granello di senape», per dirla con il Vangelo: senza di esso non può
      avvenire la meravigliosa esperienza dello Spirito. E questo seme deve essere “maturo”, forte
      e  sano,  per  poter  affrontare  la  propria  “morte”  e  diventare  altro.  In  termini  moderni  lo
      potremmo paragonare al razzo-serbatoio che porta in orbita la navicella: quando ha fornito la

      spinta iniziale e poi tutto il suo carburante, deve staccarsi, altrimenti sarebbe un inutile peso.
         È  proprio  quando  l’io  si  crede  navicella,  producendo  un’errata  autoidentificazione  e  di
      conseguenza  un’illusoria  visione  della  realtà,  che  possiamo  parlare  di  “io  patologico”,  da
      curare  e  tenere  sotto  controllo,  perché  il  suo  sviluppo  nella  direzione  sbagliata  degenera
      inevitabilmente in crudeltà e insensibilità.
         L’emanazione sana e radiosa del giallo ci fa percepire il corpo come un’irradiazione dello

      Spirito.  Il  chakra  dell’ombelico  è  chiamato  in  sanscrito  Manipura  e  significa  “Città  dei
      gioielli”: l’io che ha raggiunto la sua ricchezza ora deve impiegarla saggiamente. È il centro
      della volontà («Io posso!») e del pensiero lineare. Da lì s’irradia l’energia pranica attraverso
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