Page 86 - La coppia intrappolata
P. 86
72 3 Le emozioni coinvolte
3 tinuato ad aggiungere al nostro archivio mentale conferme per alimentare e perpe-
tuare il sentimento o emozione della paura.
La paura, di tutte le emozioni, è quella più paralizzante. L’organismo quando è
in preda a una situazione allarmante, come difesa si contrae, si chiude. Non a caso
alla base di tutti i blocchi psicosomatici c’è la paura. Avrete notato che tutti gli indi-
vidui dei casi precedenti che ho etichettato per praticità come succubi, accusavano
disturbi psicosomatici classici di risposta a un blocco della fluidità dell’energia vi-
tale? La paura infatti produce tensione e contrazione come movimento vitale di di-
fesa e anche di unica possibilità di sopravvivenza; quando la tensione si cronicizza
(e ci sono purtroppo agganci nevrotici che durano anche oltre dieci anni) diventa im-
possibile o alquanto difficile tornare a uno stato di rilassamento, la contrazione di-
venta stabile e inconscia, e così si produce un blocco. Di contro l’emozione di feli-
cità, di amore, di gioia, produce invece un pieno e sano fluire di energia vitale.
Mi riferisco alla tipologia di paura legata ai rapporti interpersonali affettivi. D. Stern
per esempio rivela come il panico in età adulta sia ricollegabile a una mancanza di at-
taccamento-accudimento della figura materna nelle primissime fasi della vita (Stern, 1987).
Tornando per esempio sul caso di Michela, lei a tal proposito diceva: “Quando
riuscivo a vincere la paura e mi staccavo da Giorgio avvertivo una sensazione di be-
nessere, sembrava che il sangue riprendesse a fluire nelle vene e a irrorare tutto il mio
corpo, e avevo una sensazione di caldo, sentivo il mio corpo che prendeva consisten-
za nel mondo, avvertivo la mente leggera, libera e pensavo di poter conquistare il mon-
do ed ero piena di energia e di gioia di vivere. Potevo di nuovo sperimentare la mia
forza, il sapore dell’indipendenza, e giuravo a me stessa che non sarei più tornata in-
dietro. Accadeva però che dopo quindici, venti giorni, perdevo quell’iniziale sensa-
zione di benessere ed euforia e cominciava a fare di nuovo capolino dentro di me una
sensazione di vuoto e solitudine da sentirmi da lì a poco disperata senza di lui. Mi
assaliva l’angoscia e non vedevo l’ora di tornare da lui che nonostante tutto vedevo
come la mia casa affettiva: ho fatto quest’altalena tante di quelle volte che ormai Gior-
gio non dava più peso a questo che lui definiva ‘solita alzata di testa’, era così sicu-
ro che sarei tornata”. Michela, come gli altri “succubi” non ha avuto dalla famiglia
il messaggio chiaro che il mondo poteva essere un luogo vivibile e accogliente e che
soprattutto lei aveva in sé tutte le qualità necessarie per affrontarlo nei migliori dei
modi, anche qualora si fosse presentato difficile.
Bowlby (1989) nella sua “teoria sull’attaccamento” sottolinea il bisogno che il
bambino ha di sentire una base sicura e che questa non si esaurisce nell’infanzia, ma
tutti abbiamo bisogno di una base sicura per poter continuare a essere attivi e gesti-
re il futuro che è imprevedibile. Da bambini sperimentiamo tutto questo con una vi-
cinanza fisica che ci aiuta a crescere, potenziare e sviluppare chi siamo, da adulti non
dovremmo avere più bisogno di qualcuno che fisicamente è vicino a noi, ma avrem-
mo dovuto già introiettare dentro di noi “la sicurezza affettiva” ed essere di conse-
guenza più sicuri e fiduciosi di noi stessi.
I “succubi” non hanno sperimentato tutto questo e non hanno potuto introiettare
questa “sicurezza affettiva” dentro di loro, ecco perché instaurano con il partner que-
sta dipendenza affettiva.
Essere genitori è il mestiere più difficile del mondo. Inevitabilmente si trascina-