Page 51 - La coppia intrappolata
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2.1 Descrizione dettagliata di tre casi emblematici 37
nità che quel disgraziato mi faceva, la mia mente si ossigenava con i miei lucidi, le mie piantine di
interni. Creavo le case dei miei clienti predisponendo loro tutto il calore che una casa poteva offri-
re. Non ero gelosa della felicità delle altre coppie, anzi le aiutavo a esprimerla al meglio con il loro
arredamento, la tappezzeria, i quadri, e tutte le volte era un capolavoro. Ma Giorgio aveva persino
cercato, viscidamente, di insinuarmi il dubbio che la gente mi cercasse perché ero la figlia di mio
padre e non per il mio valore e creatività che possiedo. È stato l’unico campo nel quale non mi sono
lasciata fiaccare. Non so neppure io il perché, forse lo scoprirò in seguito, o forse è così banale la
risposta e sono io ad avere ancora il cervello a pezzi…”.
Michela aveva costruito una specie di barriera, era come scissa, era così tanto sicura nel lavoro quan-
to così insicura e foglia al vento nell’affettività.
“…Io avevo dei momenti di lucidità, ma non sono riuscita ad aggrapparmi a essi nel modo giusto.
Nei momenti di lucidità capivo perfettamente quale fosse il suo gioco, mi rendevo conto che tutte
le cattiverie che mi diceva erano solo per ferirmi, per fiaccarmi, per farmi credere che nessuno può
amarmi e che io potevo stare solo con lui. Io ero agganciata a lui perché dovevo fargli cambiare idea
sul mio conto, ma sempre più mi avvitavo in questo proponimento e ancora di più lui aveva la cer-
tezza di avermi in pugno… Non saprei dirle da quando ho iniziato a odiarlo, non lo amavo più, ma
era subentrata in me una sorta di sfida. Dovevo portarlo a dire che si era inventato tutto per paura
di perdermi e che senza di me lui non poteva vivere, sarebbe stato il mio riscatto…”.
Michela era arrivata a comprendere la dinamica dell’aggancio nevrotico di cui era vittima, ma non
aveva considerato che la sua struttura di personalità così rigida e inflessibile, non le avrebbe mai
permesso di perdonarsi.
“…In uno dei miei momenti di autolesionismo non ho saputo gestire la rabbia che provavo nei
miei confronti, una rabbia che avevo perché permettevo a Giorgio di umiliarmi così tanto mi offu-
scava a tal punto che, in uno dei miei momenti nei quali vedevo buio pesto, ho sentito che quella
storia sarebbe stata senza fine e che non ce l’avrei più fatta a sostenerla. L’unico modo per uscirne
era uscire proprio di scena io stessa, tagliandomi le vene. Non saprei descrivere la sensazione che ho
provato, la lama del coltello era una carezza calda e fredda nel contempo, poi credo di essere sve-
nuta. Sono rinvenuta non so dopo quanto tempo in ospedale, era stato mio padre ad aver capito che
doveva tenermi d’occhio quella sera e così prontamente mi ha prestato soccorso. È a lui che ho pro-
messo che mi sarei lasciata aiutare. Di tutta questa storia il momento più bello l’ho vissuto quando
papà tenendomi tra le sue braccia mi ha detto ‘piccola mia, ci sono io vicino a te, ti ho sempre
amata, ma il dolore mi aveva accecato, ora pensa solo a guarire’…”.
Con queste parole inconsapevolmente il padre le aveva fornito la possibilità di uscire dall’aggancio
nevrotico, perché dichiarandole il suo incondizionato amore aveva distrutto nella figlia quel bisogno
disperato di ricerca dell’amore, le aveva annullato la ricerca del riscatto che lei aveva perseguito con
la persona meno indicata perché arida d’amore.
Michela aveva risolto la sua nevrosi originaria. Non doveva più riscattare il suo periodo dell’infanzia
dove cercava una conferma di amore da suo padre e questa veniva sempre a mancare. La conferma
era arrivata, non doveva più incaponirsi nel ricercarla nella sua vita affettiva da adulta. Né tanto
meno doveva ripetere e attuare uno schema vecchio con tutte le distorsioni annesse e connesse nel