Page 25 - La coppia intrappolata
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1.3 Le strutture di personalità coinvolte 11
ti, i tipi di reazione di fronte a episodi della vita o situazioni particolari, i sistemi di
valore, le direttive abituali della personalità dell’individuo che si lascia prendere in
carico.
Nel descrivere le strutture di personalità degli individui che riscontravo essere
coinvolti nell’aggancio nevrotico, ho utilizzato il modello DSM (Manuale diagno-
stico e statistico dei disturbi mentali, AAVV, 1983) con un approccio cognitivo-
comportamentale nei disturbi di personalità.
Il DSM rappresenta il sistema di classificazione dei disturbi di personalità più uti-
lizzato in campo internazionale e nel 2011 il DSM è arrivato alla sua quinta edizione.
È bene tenere presente che nel DSM le descrizioni dei disturbi di personalità
finiscono per rendere conto di pochissime dimensioni psichiche (Asse II). Per esem-
pio, sei criteri su sette del disturbo paranoide di personalità ruotano attorno ai costrut-
ti di sospettosità cronica e rabbia, cioè siamo di fronte a un numero piuttosto eleva-
to di criteri di un disturbo di personalità che si limita a ripercorrere in forme e con
sfumature diverse lo stesso sintomo-tratto di personalità.
È ovvio che un clinico, con questi presupposti, solo sulla base della diagnosi estra-
polata dal DSM non può elaborare una formulazione adeguatamente ampia e com-
plessa di un caso.
Per cui, mentre la diagnosi si presenta con un processo relativamente standardiz-
zato e oggettivo, è sempre il clinico che formula il caso. È la sua formazione, la
peculiarità della sua personalità, la sua soggettività, quel rapporto sacro e magico che
viene a crearsi tra il terapeuta e il paziente che crea il caso. Per esempio, grazie alla
mia formazione e alla mia esperienza lavorativa che ha rafforzato in me questa con-
vinzione, mi sono resa conto che una leva molto importante per apportare cambia-
menti permanenti in un individuo e quindi garantire maggiore successo terapeutico
è data nel dare molta enfasi alla resilienza. Nel corso di un’elaborazione per un pia-
no di trattamento terapeutico do sempre molto valore alla resilienza (Erickson, 1958).
Mi ritengo appartenente a quella categoria di psicoterapeuti resilienti quali Mil-
ton Erickson oppure Oliver Saks, tra i più conosciuti, che dalle esperienze dure, tra-
giche, drammatiche, hanno imparato a conoscere le potenzialità del corpo e della men-
te umane, lo hanno sperimentato sulla propria pelle, e sanno trasmettere ciò che han-
no appreso.
Il dolore che hanno sofferto li ha resi diversi, arricchiti e cresciuti, con una pro-
fonda fiducia in loro stessi; pur mantenendo l’umiltà dell’essere, essi sono riusciti a
sviluppare una curiosità insaziabile nei confronti di un mondo ricco di insidie, ma
anche e soprattutto di possibilità inesplorate.
Essi traslano sui propri simili che vedono in difficoltà tutto ciò che hanno appre-
so, con un atteggiamento peculiare di semplicità, spontaneità e leggerezza, nel sen-
so di non prendersi troppo sul serio giacché tali psicoterapeuti non sono i deposita-
ri della verità, ma solo persone fortunate per aver potuto spaziare nella psiche uma-
na e nei rapporti interpersonali riuscendo ad andare oltre i paesaggi ordinari.
Il loro motto è non avere nessuna sudditanza, ma la piacevolezza della condivi-
sione e del reciproco scambio.
Nel corso della loro esperienza professionale e grazie alle proprie qualità sono
riusciti a comprendere e applicare che è necessario lavorare su più registri emotivi,