Page 99 - Sbirritudine
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casa come una furia, presi la divisa e la indossai. Mia moglie arrivò con
              la spesa e mi vide vestito come se dovessi presenziare a una cerimonia.

              Mi  chiese,  preoccupata,  chi  avessero  ammazzato.  Mio  figlio  corse  a
              stringermi la gamba. Non voleva lasciarmi andare. Lo presi in braccio e
              lo vidi respirare l'odore della divisa, come facevo io con quella di mio
              padre. Dovevo tornare indietro e vedermela con Betoniera, anche per

              mio figlio.

                 Tornato a Prezia, posteggiai in mezzo alla piazza e notai che i miei
              colleghi  ancora  non  erano  arrivati.  Meglio.  Entrai  nel  bar  e  puntai
              Passalacqua. Era attorniato dai suoi. Conoscevo le loro facce, sapevo
              chi  erano.  In  cinque  avevano  fatto  fuori  almeno  diciotto  persone.  Il

              bastardo si voltò verso di me e mi guardò. In divisa dovevo sembrare
              strano pure a lui. Lui aveva un vestito color asfalto ad agosto, di quel
              grigio che pare sul punto di evaporare. Che tàscio.

                 «L'ispettore gradisce un caffè?» Me lo chiese con calma. Ero nel suo
              territorio.

                 Gli dissi di no. E allora a cosa doveva la mia presenza, mi domandò.

              Mi avvicinai a lui e i suoi uomini mi accerchiarono. Sentivo il loro fiato
              sul collo. Facevano gesti alle mie spalle. Li sentivo con la schiena. Ma
              non smettevo di fissare Passalacqua.

                 «Allora?» mi chiese di nuovo. «Che ci fa qui, signor sbirro? È venuto
              a fare il confronto con le impronte  digitali prese sulla faccia del suo

              collega?»
                 «No» risposi, «sono venuto a darti una lezione.»

                 «Una lezione?» I suoi scoppiarono a ridere, e la sua testa si avvicinò
              pericolosamente alla mia. Era pronto a colpirmi.

                 «Sì»  continuai,  «una  lezione  di  educazione  civica.»  Lui  mi  guardò
              infuriato.  «Questa  divisa»  gli  dissi,  indicandola  «è  lo  Stato.  Questi

              bottoni qua sono lo Stato. Queste asole sono lo Stato. Lo Stato siamo io
              e i miei colleghi. E lo Stato sono pure le nostre volanti. Ma lo Stato è
              anche  questo  bar.  Il  bancone  è  Stato.  Tutto  è  Stato.  Compreso  te.  E

              compresi  i  tuoi  amici.  E  non  potete  farci  niente:  siete  nati  in  questo
              Stato e vivete in questo Stato. E in questo Stato ci sono delle regole.
              Non le decidiamo né io né tu. Ci sono, e non possono essere cambiate.

              Lo  sai  questo?  Non  si  può  picchiare  la  gente  per  strada  perché  sulla
              Costituzione  c'è  scritto  che  non  si  può  fare.  Se  domani,  però,  sulla
              “Gazzetta Ufficiale” scrivono che si possono picchiare le persone per
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