Page 101 - Sbirritudine
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c'era  modo  di  capirlo.  Sempre  in  pantaloni.  Sempre  con  la  giacca.
              Scarpe basse. Non un anello, mai una collana né orecchini. Era di poche

              parole,  e  quando  parlava  lo  faceva  con  una  voce  che  sembrava  un
              fischio. La trovammo già al lavoro il giorno che prese servizio. Era in
              ufficio dalle sei del mattino, ci disse il piantone. Non fece né discorsi né
              proclami. Ci chiese soltanto di andare da lei, uno a uno. Nel corso della

              settimana,  però.  Perché  il  lavoro  non  poteva  fermarsi  per  un  paio  di
              chiacchiere tra colleghi. Disse proprio così. Volevo stringerle la mano.
              Aveva  le  palle,  mi  piaceva.  Quando  toccò  a  me  andarci  a  parlare  fu

              molto sbrigativa.
                 «So tutto di lei» mi spiegò. «È un bravo poliziotto. Su di lei posso

              contare.»

                 «Spero di poter contare io su di lei» mi scappò. Lei mi fissò con i
              suoi occhi grigi e mi fece un sorriso. L'unico che mi avrebbe mai fatto.

                 «Lo  spero  per  me»  mi  rispose,  «ne  ha  già  fatti  fuori  diversi  di
              dirigenti.»

                 Sorrisi anch'io. Poco. Che cazzo voleva dire? Io non avevo fatto fuori
              nessuno. Quelli erano delle minchie, si erano fatti fuori da soli. Prima
              che  riuscissi  a  rispondere,  mi  chiese  di  fare  un  servizio  l'indomani.

              Dovevo andare da Agatino Tortorici ed effettuare una perquisizione in
              casa  sua.  La  guardavo  e  mi  domandavo  cosa  volesse  dimostrare  con
              quell'ordine.  Mi  chiesi  se  sapesse  che  Tortorici  era  considerato  il

              sottocapo di Bellingeri. Voleva che io capissi che era una tosta, che era
              disposta a combattere sul serio? Oppure voleva che fossero i mafiosi a
              capire che l'aria era cambiata con il suo arrivo? Non discussi. Le dissi
              che sarei andato immediatamente.

                 «Domani»  insistette  lei.  «Alle  cinque  del  mattino.»  Non  fiatai.  In

              fondo,  a  me,  quali  che  fossero  le  sue  intenzioni,  quella  storia  faceva
              comodo.  Io  e  i  miei  colleghi  pressavamo  da  settimane  gli  uomini
              d'onore, e Tortorici, anche se era un pezzo da novanta, era pure lui un
              uomo d'onore.

                 L'indomani  mi  portai  Renzo  e  Tacconi.  Tortorici  abitava  in  pieno

              centro a Prezia. La sua era la palazzina più alta, ci viveva con la moglie
              e i figli. Di lui si sapeva che era uno vecchio stampo: pacato, placido,
              rispettoso.  Lo  chiamavano  “Ragioniere”  perché  amava  ragionare  sia
              con  gli  amici  che  con  i  nemici.  Il  compromesso  era  la  sua  arma

              preferita. Comandava la sua famiglia come suo padre prima di lui, con
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