Page 106 - Sbirritudine
P. 106
21
Nel buio sentii il profumo di Paola. Spezie, maestrale, pioggia e
gelsomini. Renzo era dietro di me e richiuse la porta. La seguimmo. I
nostri passi rimbombavano, quella stanza doveva essere un ampio
salone completamente vuoto. Una scala. Salimmo al primo piano e una
luce lontana illuminò i contorni invitanti di Paola. Era a piedi nudi e un
tubino nero le faceva da seconda pelle. Sembrava una gatta.
Arrivammo davanti alla porta socchiusa da cui proveniva la luce e lei
la aprì. Anche questa stanza era vuota. Solo un tavolo di plastica al
centro, di quelli da giardino, con quattro sedie. Una era occupata da
Saro Pitafi. Avevo studiato il suo fascicolo. Era uno che comandava.
Caporegime prima e sottocapo poi nella famiglia Imposimato, era quasi
arrivato al vertice. Ora era solo un re senza esercito, ma restava
comunque una testa fine, uno che sapeva, uno che aveva attraversato
tante volte il pericoloso confine tra lo Stato e la mafia.
La sua ultima foto segnaletica risaliva a dieci anni prima:
guardandolo, ci si accorgeva subito che la galera l'aveva segnato. Ma
non come capita di solito con gli uomini d'onore, che quando escono
dal carcere sono tutti simili, con la stessa espressione feroce, paziente,
spietata. Saro Pitafi, invece, aveva occhi impauriti. La mascella gli si
era assottigliata. Anche la barba pareva meno fitta. E gli zigomi, che un
tempo gli scolpivano il viso come una maschera di cattiveria,
sembravano spariti. Era vestito con un paio di jeans e una camicia a
quadretti. Non aveva collane, né bracciali d'oro. Paola fece le veci della
padrona di casa e ci invitò ad accomodarci. Renzo, finalmente, si era
calmato. Paola guardò prima me e poi Pitafi. I suoi occhi dal colore
inafferrabile non erano più lucidi come la sera prima.
Non avevo intenzione di parlare: toccava a Pitafi la prima mossa. Io
ero venuto fin lì. Ma lui mi guardava come se fossi stato un quadro
appeso alla parete. Un quadro anonimo e inutile. Si aspettava che fossi
diverso? Fu Paola a rompere il silenzio. Disse che Saro aveva un favore
da chiedermi. Pitafi si schiarì la voce: adesso toccava a me. Dissi che
ero venuto per ascoltare e che avrei fatto quanto possibile a patto che ci
fosse una contropartita.