Page 109 - Sbirritudine
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subentreranno. Il 41 bis è solo per i corleonesi, non lo ha capito? I veri
              capi  sono  dentro  per  pene  minori,  o  magari  svernano  in  qualche

              paradiso lontano.»
                 Lo guardavo. Era rosso in faccia e ora gli zigomi, la mascella e la

              barba  che  avevo  visto  in  foto  sembravano  tornati  al  loro  posto.  Ora
              avevo di nuovo davanti Saro Pitafi. Diceva cose che anch'io pensavo da
              un po'. Forse lui era fuori dai giochi e aveva più di un motivo per odiare

              a morte i corleonesi, ma quella storia dell'Italia che stava cambiando,
              tutti  i  discorsi  sul  rinnovamento,  ogni  intervento  pubblico  contro  la
              mafia erano solo scrùscio. Non ci voleva molto a capirlo. Se la discesa
              in  politica  del  nipote  di  Calafiore  era  rivoluzionaria,  allora  aveva

              ragione  Pitafi:  il  paese  doveva  cambiare  pelle,  dentro  però  rimaneva
              tutto uguale. La carne, le ossa, il cervello e il sangue.

                 Comunque,  Pitafi  era  un  boss  finito.  Questi  suoi  discorsi  potevano
              essere giusti,  ma  non sarebbero serviti a un  magistrato. Gli dissi che
              quello  che  diceva  era  interessante,  ma  che  ci  volevano  prove.  Ce  le

              aveva, lui?

                 Mi fissò incazzato, poi sorrise. «Io non ho le prove» mi disse. «Io
              sono le prove. Ma non è per questo che le ho chiesto di venire qua.» Si
              versò altro vino e bevve una lunga sorsata. Di nuovo tornò a essere solo
              un uomo che aveva paura.

                 «Mia  moglie  Caterina  non  è  mai  venuta  a  trovarmi  in  carcere»  mi

              spiegò.  «Non  la  vedo  da  dieci  anni.  I  nostri  figli  sono  finiti  da  suo
              fratello, che fa l'impiegato in un'assicurazione. Il padre di Caterina, mio
              suocero, era un uomo d'onore. È stato lui a combinarmi. Quando vidi
              Caterina la prima volta capii che doveva essere mia a qualunque costo.

              Il  fratello  di  lei,  invece,  è  un  bravo  picciotto.  Gli  piaceva  suonare  la
              chitarra, non se l'è mai sentita di entrare nella famiglia. Suo padre lo ha
              sminchiato  per  bene  un  paio  di  volte,  ma  la  testa  non  è  riuscito  a

              cambiargliela. Per mio suocero ero io il suo vero figlio.»
                 Saro  si  versò  dell'altro  vino,  come  se  volesse  brindare  all'anima

              dell'uomo che l'aveva fatto mafioso. «Con Caterina abbiamo fatto una
              vita bellissima» continuò, dopo aver socchiuso gli occhi a lungo. «Io
              graniàvo assai, ce la spassavamo. Poi un pentito ha parlato e mi hanno

              beccato,  uno  che  era  a  libro  paga  dei  corleonesi.  Dieci  anni.  E  lei  è
              sparita.  Ho  provato  a  contattarla  tramite  conoscenze,  ma  lei  non  mi
              voleva parlare. Mi ha fatto sapere che doveva badare ai nostri figli, che
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